“Un passo di pace” contro il metodo della guerra (ma fino ad un certo punto)

Il 21 settembre si è svolta a Firenze l’iniziativa per la pace “un passo di pace”. E’ stata organizzata da un network di organizzazioni, che comprende Rete della pace, Sbilanciamoci, Controllarmi . Non si tratta di una un’iniziativa qualsiasi: hanno aderito sigle e associazioni che raggruppano circa 7 milioni di italiani. L’occasione è stata la …

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Gli USA dopo Ginevra intensificano la guerra in Siria

di Francis Marrash  fonte Papaboys Pubblico la traduzione dell’articolo “US to step up war on Syria after Geneva” di Finian Cunningham. La Siria, oltre ad essere sottoposta alla guerra combattuta con le armi, deve fronteggiare la guerra mediatica portata avanti dalla stampa internazionale. I media di parte diffondono la verità a partire dagli interessi dei …

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Mons. Haddad: “La Siria? Una guerra importata”

da Vatican Insider 13-12-13 Marco Tosatti Proprio nel momento in cui Stati Uniti e Gran Bretagna decidono di sospendere gli aiuti finanziari e di altro genere elargiti alle milizie fondamentaliste islamiche che combattevano una guerra religiosa contro il governo di Damasco e le minoranze (cristiane, alauita, sunnita, drusa e sciita),  la rivista delle Missioni della …

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Il re delle sabbie: una guerra annunciata

fonte Terrasantanet di Naman Tarcha | 11 dicembre 2013 I tempi cambiano, ma resta un nodo dolente nella cultura araba, un vero tabù: non è concesso accostarsi ad alcuni temi, legati alla storia (tra intrecci, alleanze, tradimenti), soprattutto quando sono coinvolti i propri nemici. Raccontare tutto questo con il cinema è addirittura una colpa imperdonabile. …

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Cosa ha portato la guerra della NATO? Libia: a due anni dalla “liberazione”

22_09-foto-LibiaLibia: a due anni dalla “liberazione” di Enrico Vigna da Osservatorio Internazionale per i diritti

Libia, novembre 2013 – A poco più di due anni dalla “liberazione” dal “regime” di Gheddafi, imposta dalla cosiddetta “coalizione dei volonterosi ” occidentale, può essere illuminante, per capire di quante menzogne e falsità mediatiche ci nutrono, fare il punto sulla situazione nel paese e sul livello di violenza e terrore diffuso nella realtà della vita quotidiana del popolo libico

Cosa ha portato la guerra della NATO?
Enrico Vigna – A poco più di due anni dalla “liberazione” dal “regime” di Gheddafi, imposta dalla cosiddetta “coalizione dei volonterosi” occidentale (leggasi, al di la’ di retoriche e demagogie, paesi aggressori e NATO), può essere illuminante, per capire di quante menzogne e falsità mediatiche ci nutrono, fare il punto sulla situazione nel paese e sul livello di violenza e terrore diffuso nella realtà della vita quotidiana del popolo libico

Soprattutto può aiutare a riflettere sulle manipolazioni usate per fare le “guerre umanitarie” e per i diritti umani, e comprenderne i veri risultati nel concreto della vita dei popoli.

La Libia di oggi è un territorio senza più alcuna legalità, a detta di osservatori internazionali, esperti, giornalisti e testimoni sul campo, Ong come Human Right Watch ed anche l’ONU, nell’ultimo rapporto di quest’anno redatto dalla sua missione in Libia (UNSMIL), hanno denunciato l’uso sistematico della tortura, dello stupro, di omicidi, di indicibili e feroci atrocità perpetrate nelle prigioni e nei siti di detenzione a disposizione delle milizie e delle bande criminali che controllano il paese. Un paese teatro di una vera e propria guerra tra bande jiahdiste e criminali che si sono spartite geograficamente il paese e le sue risorse.

Ogni milizia ha creato una ”giustizia privata”, ogni gruppo di mercenari possiede una prigione privata dove rinchiudere e torturare i propri detenuti.

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Anche gli intellettuali di sinistra al servizio della guerra…

FireShot Screen Capture #125 - 'piZap - free online photo editor - fun photo effects editor' - www_pizap_com_pizap-app_php_initialstate=collage&width=1920&var1=Testo della conferenza tenuta all’ateneo di Madrid il 9 settembre 2013 tenuta da Angeles Diez Rodriguez – Dottore in Scienze Sociali e Politiche e Professore all’Università Complutense di Madrid (UCM).


fonte: http://www.michelcollon.info/Les-intellectuels-au-service-de-la.html?lang=fr

Il caso della Siria è uno dei più esemplari a mettere chiaramente in evidenza il ruolo della legittimazione della guerra svolto dagli intellettuali ritenuti di sinistra. Numerosi di questi hanno scelto di mettersi al servizio della guerra mediatica contro la Siria, investiti dall’aura illustre portatrice dei principi morali occidentali. Dall’alto dei loro scranni nei grandi media come pure dei media alternativi, essi elaborano spiegazioni, giustificazioni e rapporti che presentano come principi etici quando in realtà si tratta di loro personali opinioni politiche. Essi ridicolizzano, manipolano e deformano le posizioni dei militanti antimperialisti. Si permettono anche di dare lezioni ai governi latino-americani che difendono la sovranità e il principio di non ingerenza, e che dunque si oppongono alla guerra contro la Siria.

 

Nel giugno del 2003 nell’ambito della guerra e occupazione dell’Iraq, non era molto difficile, negli ambienti universitari, in quelli della cultura e dei militanti di sinistra, che si levassero migliaia di voci contro la guerra; siamo stati in grado di riconoscere le trappole medianiche, capaci di scoprire gli interessi dell’impero americano e dei suoi alleati, di svelare le menzogne e soprattutto di stabilire le priorità nella mobilitazione e la denuncia. Non abbiamo potuto fermare la guerra né l’occupazione dell’Irak ma abbiamo posto le fondamenta di un movimento antimperialista che avrebbe potuto costituire il freno a mano della barbarie bellicista e che, in un modo o nell’altro, aveva permesso il rinviò dell’obiettivo di proseguire la neocolonizzazione della zona.

 

Se nel 2003 fu relativamente facile mobilitarci contro la guerra in Iraq e i piani imperiali americani, cosa che non ha avuto il significato di appoggiare una qualunque dittatura, oggi molti ci pongono la domanda: cos’è successo perché non sorga o non continui il movimento che fece la sua apparizione nel 2003? Sicuramente, diverse sono state le ragioni intrecciate tra loro, ma preferirei distinguerne due che mi sembrano centrali: i mezzi di comunicazione di massa hanno fatto un buon lavoro di dissuasione e una parte degli intellettuali di sinistra che prima erano riferimenti politici contro la guerra, hanno scelto di servire l’altro campo.

 

Intellettuali di sinistra al servizio della legittimazione bellicista.

 

Che i media di massa mentano, deformino, occultino, evidenzino, diano una forma e un volto ai nostri nemici è un’evidenza ripetuta molte volte nella storia. Essi fanno questo non perché sono gli strumenti del potere, no, essi lo fanno perché sono parte integrante del potere. Ma la giustificazione delle guerre, la “costruzione del consenso” come direbbe N. Chomsky, non si fa solo attraverso le corporazioni mediatiche. La propaganda è un sistema nel quale si inseriscono le imprese dei media, la classe politica e i suoi discorsi, la cultura occidentale onnipotente e colonialista, i giornalisti, gli artisti, gli intellettuali, gli universitari e i filosofi mediatici. Tutti questi intellettuali si sono trasformati in un “chierico secolarizzato” che “sceglie di giocare un ruolo fondamentale nell’interiorizzazione dell’ideologia della guerra umanitaria come un meccanismo di legittimazione” (Bricmont, 2005). Alcuni coscientemente, altri non del tutto, si sono messi al servizio della propaganda della guerra imperialista.

 

Ciò che è interessante è che questa schiera di creatori d’opinione pubblica si reclutava prima nei ranghi conservatori, tra i liberali e parte tra i socialdemocratici (ricordiamo la campagna del PSOE con “Ingresso nella Nato? No!” [http://elordenmundial.files.wordpress.com/2013/06/otano.jpg]) ma dalla guerra in Yugoslavia (1999), sono reclutati sempre più numerosi i gruppi di intellettuali che provengono dai rivoluzionari di sinistra, anticapitalisti e antimperialisti. Essi lo giustificano con argomenti morali universali e umanitari: lottare contro le dittature (ovunque esse siano) e difendere la causa dei popoli (a prescindere che essi siano le donne afgane, gli insorti libici, i manifestanti siriani, o la parte del popolo che l’opinione pubblica generale segnala come vittima delle dittature.

 

Alcuni di questi intellettuali furono figure di spicco del “No alla guerra” contro l’Iraq nel 2003; tuttavia dall’inizio di quelle che sono chiamate “le primavere arabe”, essi suonano nella stessa orchestra dei loro governi sostenendo il rovesciamento del tiranno B. Al-Assad e la Transizione democratica siriana; ve ne sono anche di quelli che chiedono l’intervento militare dell’Occidente come la scrittrice Almudena Grandes: “tutto sommato si tratta di Assad, un dittatore, un tiranno, un assassino che rimarrà l’unico beneficiario del non intervento.”

 

Si può supporre che per costoro Saddam Hussein fosse meno dittatore di Bashar Al-Assad o forse che si trattasse del fatto che in questa guerra c’erano centinaia di migliaia di cittadini nelle strade che gridavano “No alla guerra!”, cosa che non succede oggi.

 

Il ruolo che esercita questo “clero secolarizzato” è doppio, da un lato fornisce argomenti che giustificano l’intervento armato, dall’altro divide, indebolisce o blocca, ogni volta con crescente intensità, l’emergenza di una forte opposizione alle guerre imperialiste.

 

A volte per ignoranza politica, altre per errore, ma più spesso a causa di uno strisciante sentimento di superiorità morale in quanto intellettuali del mondo sviluppato, questa “sinistra” ha interiorizzato gli argomenti della destra. Secondo Bricmont, essa si è evoluta in due atteggiamenti: A) in ciò che viene chiamato imperialismo umanitario, che si appoggia sulla credenza che “i nostri valori universali” (l’idea della libertà, la democrazia) ci obblighino ad intervenire ovunque. Sarebbe una sorta di dovere morale (diritto d’ingerenza). B) il “relativismo culturale” che parte dal principio che non ci sono buoni o cattivi costumi. Avremo il caso in cui un movimento wahhabita o fondamentalista si ribelli ad una forma di repressione e venga applaudito in quanto “i popoli non si sbagliano”o, come mi ha spiegato un filosofo spagnolo, “quando i popoli parlano, la geostrategia tace”.

 

Strane coincidenze per la libertà e la democrazia

 

Il dominio imperiale è sempre militare ma necessita di un’ideologia che lo giustifichi per eliminare le resistenze di retroguardia. Oggi, grazie alla complessità del sistema di propaganda sempre più sofisticato e tecnicizzato, gran parte della costruzione di questa ideologia legittimante è nelle mani di una sinistra, al momento ancora rispettabile, che per l’opinione pubblica conta in credibilità critica grazie al suo curriculum come la difesa della causa palestinese. Il nucleo essenziale dei discorsi legittimanti si è spostato dalla “libertà” ancora classica, alla criptica “dignità”, e conserva la “democrazia” e i diritti dell’uomo come parole d’ordine. La democrazia, come sognata dal filosofo Santiago Alba serve da utopia leggera per raccogliere adepti e confondere i desideri con la realtà.


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Le rappresaglie dei buoni

Per la vicenda Priebke ho ritenuto pubblicare sul mio blog questo articolo con cui intendo sottolineare l’estrema necessità di rimette in cima a ogni considerazione la verità storica: quando ho visto fare e dire nell’occasione della morte di Priebke ha veramente del demenziale… ma questo paese, questo mio paese non ha più memoria? Il comportamento …

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Tragbarer elektrischer generator. జనవరిలో దావోస్‌కు వెళ్లనున్న సీఎం చంద్రబాబు.