L’istruzione in un paese liberale

fonte: http://www.ilculturista.it/cultura/?cat=5 Lo Stato italiano ha speso, con la finanziaria 2009, 44 miliardi per l’istruzione pubblica. Andiamo a vedere che situazione si svilupperebbe se lo Stato decidesse di non occuparsi più di istruzione, e in che modo il mercato reagirebbe a ciò. Innanzitutto si avrebbe una gran fioritura di scuole private, attratte dalla fetta di …

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Garibaldi storico

Chi fu Garibaldi? Un negriero, un grande nemico del Meridione,della Chiesa, dell’Italia.

fonte: libertà e personaDi Francesco Agnoli – 28/02/2011 – Storia del Risorgimento

Quando si parla di Risorgimento, di unità politica dell’Italia, l’eroe che viene alla mente è senza dubbio Giuseppe Garibaldi. Per decenni la sua figura è stata celebrata, osannata, sino a farne una sorta di santo laico, da porre sull’altare della patria, a cui dedicare poesie, strade, pazze e statue equestri: al fine di dare, ad un paese che aveva voluto tagliare i conti, in quattro e quattr’otto, col passato, un mito fondativo sufficientemente romantico e affascinante.

Di Garibaldi, il poeta vate Giosue Carducci, cantore dell’Italia mazziniana, e poi di quella crispina e coloniale, scriveva: “Nacque da un antico dio della patria, mescolatosi in amore con una fata del settentrione…”.

In verità il Risorgimento, come notò Gobetti, è stato un tempo senza eroi. “Troppo fumoso e cerebrale Mazzini- scrive Luca Marcolivio, nel suo piacevole “Contro Garibaldi” (Vallecchi)-, troppo machiavellico Cavour, troppo legato alla cattiva fama di casa Savoia Vittorio Emanuele II”. L’unico che “seppe suscitare qualche entusiasmo popolare, anche se dovuto più ai lati spettacolari, pittoreschi e buffoneschi del suo modo di essere e di apparire che non a delle vere qualità di capo”, fu, secondo Indro Montanelli, Giuseppe Garibaldi..

Chi fu veramente Garibaldi? Fino al 1848 la sua vita è poco chiara, perché avvolta nella leggenda. “Da giovane – scrive lo storico Massimo Viglione, nel suo “L’identità ferita” (Ares)- dopo aver partecipato al tentativo mazziniano di invasione del Regno di Sardegna, Garibaldi si mise dapprima a fare il pirata al seguito del bey di Tunisi e poi fu costretto a fuggire in Sudamerica per non finire impiccato. Quindi si coinvolse prima nel furto di cavalli in Perù (dove gli vennero tagliati i padiglioni degli orecchi), e poi praticò la pirateria per il commercio degli schiavi asiatici”.

Un pirata, dunque? La notizia, negata da Phillip K. Cowie, con argomenti piuttosto fragili, è invece confermata da altri storici, come L. Leoni, O. Calabrese, A. Pellicciari, e persino da un agiografo di Garibaldi come Giovanni Spadolini che però, ne “Gli uomini che fecero l’Italia”, vi accenna fuggevolmente senza addentrarsi nelle sue “leggendarie e piratesche imprese in Sud America”.

Più esplicito lo storico del Risorgimento Giorgio Candeloro, che, intervistato su “La Repubblica” del 20/1/1982, fornisce dettagli maggiori: “Comunque Garibaldi, un po’ avventuriero, un po’ uomo d’azione, non era tipo da lavorare troppo a lungo in una fabbrica di candele. Va in Perù, e, come capitano di mare, prende un comando per dei viaggi in Cina. All’andata trasportava guano, al ritorno trasportava cinesi per lavorare il guano: la schiavitù in Perù era stata abolita e il guano non voleva lavorarlo più nessuno. Insomma un lavoretto un po’ da negriero. Era un avventuriero, un uomo contraddittorio, fantasioso, un personaggio da romanzo”.

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Scuola "pubblica" e scuola "privata" cattolica

Obiezioni fatte più spesso  dai sostenitori della scuola cosidetta “pubblica”  (ma leggesi ” statale”) 1. la scuola privata costituirebbe una educazione a senso unico secondo le proprie visioni mentali. 2. le scuole cattoliche sono scuole “elitarie”. 3. “privato” è indice di elitario e va pagato come un servizio in più da parte di chi lo …

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Guerra di sopraffazione italiana in Libia

FONTE STORIA IN – autore Michele Strazza. La conquista italiana della Libia prese il via tra il 4 e il 5 ottobre 1911 con gli sbarchi delle truppe italiane, rispettivamente a Tobruk e Tripoli, inviate da Giolitti contro l’Impero Ottomano. Il corpo di spedizione, al comando del generale Carlo Caneva, era forte di 35.000 uomini, …

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L'Unità d'Italia: altre campane…per ragionare liberamente senza faziosità

di Giuseppe Bonvegna storia e idendità Pochi giorni dopo la sconfitta di Giuseppe Garibaldi (1807-1882) a Mentana, nel Lazio, (3 novembre 1867) a opera di un contingente formato da soldati pontifici e francesi, il marchese Pietro Calà Ulloa (1801-1879), ufficiale dell’esercito napoletano, magistrato e amico di Francesco II delle Due Sicilie (1836-1894), scrive un agile …

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Ripensare il giudizio storico sul Risorgimento

di Roberto de Mattei  Radici Cristiane

Il 17 marzo del 1861, l’Italia celebrerà la sua Rivoluzione politica, culminata nella destabilizzazione degli Stati pre-unitari e nella proclamazione del Regno d’Italia. Il processo politico di unificazione nazionale, non va però confuso con la Rivoluzione ideologica che lo accompagnò e che costituì il Risorgimento propriamente detto, così come è un errore identificare concetti che solo la modernità ha confuso, quali quelli di Stato e nazione. La nazione è una realtà non statuale, ma culturale e morale. Lo Stato è l’organizzazione politica e istituzionale di una comunità nazionale.

Le carte geopolitiche dell’Italia, tra la Pace di Lodi del 1454 e il Congresso di Vienna del 1815, offrono l’immagine di una sola nazione, unita in una pluralità di Stati regionali diversi. Nella varietà delle sue tradizioni e forme di vita, l’Italia costituiva, fin dal Medioevo, una nazione culturalmente omogenea, unificata dalla cultura, dall’arte, dal diritto e soprattutto dalla religione cattolica.

La cattolicità la rendeva refrattaria a ogni forma di nazionalismo, perché esprimeva una tendenza universalistica a trascendere i propri confini geo-politici. I campi in cui l’Italia diede il meglio di sé furono quelli meno legati, per loro natura, a una dimensione nazionale, come la musica, l’arte, l’architettura.

La stessa letteratura italiana, come è stato notato, fu tanto più vigorosamente europea quanto più debolmente nazionale. L’identità nazionale italiana coincideva paradossalmente con la sua universalità. Niccolò Machiavelli, nel XII capitolo dei Discorsi sulla prima deca di Tito Livio, indicò nella Chiesa la principale responsabile della mancata unificazione italiana nel Medioevo.

Machiavelli non aveva torto, ma la mancata unificazione era quella politica; sotto l’aspetto culturale e artistico la Chiesa contribuì non solo a unificare l’Italia, ma a dare proiezione universale alla sua identità. I maggiori Papi dell’epoca medievale, da Gregorio Magno a Gregorio VII, difesero con la libertas ecclesiae, anche questa identità universalistica minacciata dal nazionalismo dei longobardi e poi dagli imperatori tedeschi.

Nel 1796, l’armata di Napoleone pretese di sostituire all’identità tradizionale italiana, fondata sull’unità della fede religiosa e sulla pluralità delle istituzioni regionali, una nuova identità, astrattamente derivata dalla Rivoluzione Francese. Alla “patria reale” si sostituì una patria “filosofica”, che facendo proprie le tesi della Rivoluzione francese, attribuiva alla nazione la fonte di ogni legalità.

Il termine di nazione subì, come quello di patria, una trasformazione semantica.  La La nazione coincise con la democrazia repubblicana e divenne un paradigma politico a cui tutto era subordinato. La parola Risorgimento iniziò a diffondersi nel triennio giacobino 1796-1799 con un significato ideologico, e perfino con una risonanza religiosa, per indicare il processo di rinascita che avrebbe dovuto portare all’unificazione della penisola italiana. L’uso del termine si inquadrava nella filosofia della storia illuministica, per annunciare la risurrezione della nazione italiana, dopo secoli di oscurità. Analoga alla parola Rivoluzione e a quella Rinascimento, la parola Risorgimento presupponeva una frattura con il passato prossimo e un ritorno a un mitico, remoto passato. Il Risorgimento era in questo senso una Rivoluzione, la Rivoluzione italiana, anche se questo termine, all’inizio preferito a quello di Risorgimento, fu poi abbandonato, soprattutto per tranquillizzare coloro a cui il termine ricordava gli eccessi e le violenze avvenuti in un tempo ancora recente in Francia. Il giornale del conte di Cavour,

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