fonte Eurasia
Abbiamo intervistato Paolo Sensini, autore dell’opera “Libia 2011”[1]. Un saggio molto interessante che offre nella prima parte un’agile narrazione di cento anni di storia libica incastonati fra due eventi luttuosi per il paese: la guerra coloniale italiana del 1911 e l’intervento umanitario (rectius neocoloniale) del 2011. La seconda parte è invece una disamina ben documentata degli eventi legati proprio all’intervento militare scaturito dalla Risoluzione ONU 1973, corredata anche dalla testimonianza diretta dell’autore, giunto in Aprile nei luoghi del conflitto e partecipe dei lavori della commissione d’inchiesta sui fatti di Libia (Fact Finding Commission on the Current Events in Lybia).
Giacomo Guarini: Abbiamo visto con piacere che la sua opera viene citata e accolta con giudizio complessivamente positivo anche in un servizio video del Corriere della Sera[2]. Dispiace però che l’autore del servizio faccia riferimento a presunti “eccessi” che lei avrebbe compiuto nel dipingere la Libia pre-bellica come “prospera” e “teatro di riforme realizzate”. Eppure anche i riferimenti che lei fa a notevoli aspetti dello sviluppo economico-sociale del paese sono ben corredati da fonti, spesso anche ‘insospettabili’ (vedi ad esempio l’Indice di Sviluppo Umano ed altri dati riportati dalla Banca Mondiale in riferimento alla Libia). Può dare ai lettori un’idea dei progressi raggiunti dal paese in questi decenni di governo Gheddafi?
Paolo Sensini: In effetti l’unico modo per esprimere un giudizio obiettivo e ponderato sulla Libia, è quello di guardare alle realizzazioni concrete della Jamahiriyya. Partiamo dunque dal tasso di alfabetizzazione dei libici, che si attesta oggi intorno all’88%, mentre quando Gheddafi salì al potere nel settembre 1969 era circa del 6%. Già un dato di questo genere ci fornisce uno spaccato piccolo ma indicativo delle condizioni del paese. Se consideriamo poi anche gli indici sulle aspettative di vita e il reddito pro capite dei suoi abitanti, che combinati insieme al tasso d’istruzione costituiscono gli elementi chiave per il computo dell’Indice di Sviluppo Umano (HDI), vediamo che la Libia è l’unico paese dell’Africa rappresentato con il colore verde (livello HDI alto), trovando collocazione prima di ben nove nazioni europee. Bisogna anche considerare l’assistenza medica gratuita e di qualità largita a tutti i suoi cittadini, così come il livello d’istruzione primaria, secondaria e universitaria (nazionale ma anche in sedi estere) e la promozione familiare: in pratica a ogni neolaureato le istituzioni libiche erogavano, prima del colpo di Stato NATO-ribelli, una somma pari a cinquantamila dollari per potersi pagare una casa senza dover sostenere alcun interesse e senza data di scadenza. Ecco perché l’emigrazione dei libici verso l’Europa era quasi nulla (1.517 persone, in gran parte uomini d’affari e operatori commerciali), se rapportata all’esodo di dimensioni bibliche dagli altri paesi africani e arabi. Non va dimenticata, inoltre, la distribuzione quotidiana di cinque milioni di mq di acqua dolce che arrivavano gratuitamente nelle case dei tutti i libici attraverso le condutture del Great Made-Man River, il più grande acquedotto del mondo fatto costruire da Gheddafi a partire dagli anni Ottanta. Il che, per un paese quasi interamente desertico come la Libia, rappresenta una risorsa di straordinaria importanza. Insomma, se consideriamo tutto questo e molto altro di cui ho dato conto in dettaglio nel mio libro, vediamo che la Jamahiriyya è riuscita a ottenere risultati, sia pure con aspetti socioeconomici e politici che andavano certamente migliorati, di cui è difficile trovare riscontro a livello mondiale.