Il fallimento delle banche non è necessariamente la fine del mondo

  fonte: Quel piccolo villaggio di irriducibili… islandesi!.  Daily Telegraph un articolo del 28 novembre scorso di Ambrose Evans-Pritchard, international business editor esperto di economia del Daily Telegraph. Il fallimento delle banche non è necessariamente la fine del mondo. Dove esiste ancora una sovranità monetaria, le banche private sono una cosa, lo Stato un’altra. Gli unici che …

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Il rifiuto dell’Islanda di essere vessata finanziariamente è un modello per Grecia e Irlanda?

FONTE : http://www.counterpunch.org/2011/05/27/breakup-of-the-eurozone/

Lo scorso mese l’Islanda ha votato contro l’accettazione delle richieste britanniche e olandesi che avrebbero rimborsato le agenzie di assicurazione bancarie nazionali per aver “salvato” i propri correntisti di Icesave. È stata la seconda votazione contro quest’accordo (con un coefficiente di 3 a 2) e la convinzione degli islandesi di rimanere membri dell’eurozona è scesa al 30 per cento. Il comune sentire è che i politici europei sono intervenuti in soccorso dei banchieri e non degli interessi della società, cosa che gli islandesi pensavano fosse la strada da seguire, come già stabilito nel 1957 con la formazione della Comunità Economica Europea.

L'Europa ha messo in dubbio l’adesione dell’Islanda a causa dell’imposizione dell’austerità finanziaria e della povertà alla popolazione, tutto questo per farle pagare soldi che legalmente non doveva a nessuno. Il problema è quello di trovare un tribunale imparziale che voglia applicare le leggi esistenti per attribuire le responsabilità a chi effettivamente le ha.

La ragione per cui l’UE ha combattuto così duramente per far prendere al governo islandese la responsabilità dei debiti di Icesave è quello che i creditori chiamano “contagio”. L’Irlanda e la Grecia devono affrontare un ammontare del debito sempre più elevato. La “troika” dei creditori europei – la Banca Centrale Europea (BCE), la Commissione Europea e il FMI – ritiene che la cancellazione del debito e la tassazione progressiva per proteggere le economie interne sia una malattia contagiosa.

Come la Grecia, l’Irlanda ha chiesto un allentamento del debito per far sì che il governo non fosse obbligato a tagliare la spesa nel corso di una recessione sempre più acuta. “La stampa irlandese ha riportato che i funzionari dell’UE “hanno perso la testa” quando i negoziatori irlandesi hanno chiesto di allargare la condivisione del peso del debito. La Banca Centrale Europea teme che una mossa del genere possa provocare un contagio nei mercati del debito dell’Europa meridionale”, così ha scritto un giornalista, avvertendo che le conseguenze dello sconsiderato incameramento del debito pubblico nel bilancio dello Stato possa minacciare di far fallire l’economia.

 

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La rivoluzione Islandese (dimenticata dai media)

fonte:  controlacrisi.org

E’ in corso da due anni una rivoluzione in Europa, ma nessuno ne parla: breve resoconto della rivolta anticrisi islandese.

Recentemente la rivolta in Tunisia si è conclusa con la fuga del tiranno Ben Alì, così democratico per l’occidente fino all’altro ieri e alunno esemplare del Fondo monetario internazionale.

Tuttavia, un altra “rivoluzione” che ormai è in corso da due anni è stata completamente taciuta e nascosta dai media mainstream internazionali ed europei.

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Islanda - fonte Wilkipedia

È accaduto nella stessa Europa, in un paese con la democrazia probabilmente più antica del mondo, le cui origini vanno indietro all’anno 930 e che ha occupato il primo posto nel rapporto del ONU sull’indice dello sviluppo umano di 2007/2008. Indovinate di quale paese si tratta? Sono sicuro che la maggioranza non ne ha idea.

Si tratta dell’Islanda, dove si è fatto dapprima dimettere il governo in carica al completo, poi si è passato alla nazionalizzazione delle principali banche, infine si è deciso di non pagare i debiti che queste avevano contratto con la Gran Bretagna e l’Olanda a causa della loro ignobile politica finanziaria; infine si è passati alla costituzione di un’assemblea popolare per riscrivere la propria costituzione.

Tutto questo avviene attraverso una vera e propria rivoluzione, seppur senza spargimenti di sangue ma semplicemente a colpi di casseruole, con le proteste e le urle in piazza e con lanci di uova, una rivoluzione contro il potere politico-finanziario neoliberista che aveva condotto il paese nella grave crisi finanziaria.

Non se ne è parlato dalle nostre parti, se non molto superficialmente, a differenza delle rivolte in altre latitudini discorsive (la Sicilia meridionale è più a sud di Tripoli, eppure la remota Islanda, più vicina al polo nord che all’Italia è percepita come parte della “Moderna” Europa).

Il motivo è semplicemente il terrore, per lor signori, democratici o conservatori che siano, della riproducibilità e l’estensione di quelle lotte.

Che cosa accadrebbe se il resto dei cittadini europei seguisse l’esempio islandese?

Brevemente, la storia dei fatti:

Alla fine di 2008, gli effetti della crisi nell’economia islandese sono devastanti. A ottobre Landsbanki, la banca principale del paese, è nazionalizzata.

Il governo britannico congela tutti i beni della sua filiale IceSave, con 300.000 clienti britannici e 910 milione euro investiti dagli enti locali e dalle organizzazioni pubbliche del Regno Unito. Alla Landsbanki seguiranno le altre due banche principali, la Kaupthing e il Glitnir. I loro clienti principali sono in quei paesi e in Olanda, clienti ai quali i loro rispettivi stati devono rimborsare i depositi bancari, all’incirca 3.700 milioni di euro di soldi pubblici.

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