PICCOLO VADEMECUM SULLE RIVOLTE MODERNE (UCRAINA, SIRIA E NON SOLO)

infermiera-ucraina_980x571DI ALESSANDRO IACOBELLIS  fonte: eurasia-rivista.org

Il format andato in onda in Ucraina ha trasposto in Europa molti dei tratti distintivi che l’opinione pubblica mondiale ha già imparato a conoscere precedentemente in altri Paesi.

La presente analisi non si concentrerà tanto sui motivi di questa ondata globale di rivolte e (pseudo)rivoluzioni, quanto sulle peculiarità ricorrenti, in particolare quelle mediatiche. Quel che è certo è che stiamo assistendo a quello che l’eminente geopolitico statunitense Zbigniew Brzezinski aveva predetto già diversi anni fa: il “risveglio dei popoli”. Un ruolo fondamentale in questo processo è ricoperto dall’”internetpolitik”, cioè dallo sviluppo di nuovi mezzi di comunicazione che annullano ormai non solo le distanze fisiche, ma anche quelle “mentali”.

La circolazione delle idee è istantanea e di fatto rappresenta una nuova ondata del fenomeno della globalizzazione moderna (partita negli anni ’90 in ambito economico e finanziario). Si potrebbe definirla quasi “globalizzazione delle coscienze”. Il risultato è un ribellismo confuso e privo di ideologie di base, fondato su una critica radicale al potere in quanto tale senza però alcun progetto chiaro e costruttivo per il dopo. Anzi, molto spesso queste forze (pseudo)rivoluzionarie per quanto motivate e militanti non solo non rappresentano la maggioranza della popolazione dei rispettivi Paesi, ma sono addirittura minoranza anche all’interno della galassia dell’opposizione.

Si pensi alla Siria: le prime proteste, tanto mitizzate dall’Occidente, erano sì all’insegna di una confusa lotta ala corruzione e volontà di modernizzazione sociale e politica immune da fondamentalismi religiosi, ma quanto erano effettivamente rappresentative della realtà del Paese? I social-network hanno rivoluzionato il modo di pensare il rapporto con la sfera pubblica anche nelle aree del mondo non ancora contagiate dal virus della “società aperta” definita da Karl Popper, ma queste avanguardie sono destinate (perlomeno oggi) ad essere messe in minoranza da realtà sociali ancora ben distanti dai loro parametri.

L’esempio migliore in questo caso resta l’Egitto. Le proteste contro Mubarak di inizio 2011 portavano in piazza coacervi di individui e gruppi assolutamente eterogenei, con agende politiche spesso inconciliabili (o anche con nessuna e solo voglia di scontrarsi con la polizia, vedi gli ultras delle squadre del Cairo), unite soltanto dal nemico comune da abbattere (il regime). Il Movimento del 6 Aprile (che raccoglieva il grosso dei giovani cyber-attivisti tanto incensati dagli organi di informazione nostrani) è stimato avere non più di 70.000 seguaci. Ma essendo un movimento “virtuale” (presente soprattutto su Facebook) nella società moderna risulta avere un peso spropositato rispetto alla sua incidenza reale nella società egiziana. Non è un caso quindi che la Piazza Tahrir, che tanto ha fatto esaltare l’Occidente per le sue domande di democrazia diretta e giustizia sociale, alla prova delle urne si sia scontrata con la dura realtà dei fatti: il trionfo di formazioni religiose conservatrici o addirittura apertamente reazionarie, come i salafiti e la sostanziale irrilevanza dei “giovani democratici”.

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