Interessante riflessione del grande economista Thomas Mayer sulla FAZ il quale analizzando le profonde differenze socio-economiche fra i paesi europei e il disastro causato dalla camicia di forza dell’integrazione forzata giunge ad una conclusione semplice, ma non scontata: saranno i populisti e i partiti di protesta a salvare l’Europa. Dalla Faz.net Thomas Mayer.
Se i sondaggisti non stanno sbagliando tutto, in vista delle prossime elezioni europee di maggio, saranno proprio i partiti euroscettici a raccogliere i maggiori profitti. I sostenitori dell’Unione Europea spesso rispondono a questa ascesa con incomprensione o con aria di sfida. Proprio in questa fase, secondo loro, sarebbe importante portare a compimento una “unione sempre più stretta” per riuscire a neutralizzare le forze centrifughe. Nel fare ciò tuttavia trascurano il fatto che è stata proprio la pressione verso un’integrazione sempre più stretta a rafforzare questi movimenti.
Con la fondazione della Comunità Economica Europea nel 1957, sei paesi europei si unirono in una unione doganale. Con la creazione del mercato unico europeo del 1993, venne poi realizzata la libera circolazione dei servizi, dei capitali e delle persone, oltre alla libera circolazione delle merci. E con l’Unione Monetaria Europea infine venne introdotta una moneta unica. Dopo ogni passo verso l’integrazione, è venuta meno la protezione dei mercati nazionali ed è aumentata la concorrenza.
Con la libera circolazione delle persone è aumentata la competizione tra i lavoratori nazionali e i migranti, e con la moneta unica è stata eliminata la protezione contro la concorrenza straniera realizzata attraverso la svalutazione della moneta. Dal punto di vista economico, “l’unione sempre più’ stretta” è stata una ricetta per aumentare la prosperità. Ma la realtà economica può essere rappresentata sulla tavola da disegno dell’economia con estrema difficoltà. Le differenze nelle strutture socioeconomiche dei singoli paesi hanno fatto sì che l’integrazione crescente agisse come un “ancoraggio sempre più stretto”, che alla fine ha innescato delle difese.
[su_heading style=”modern-2-blue” size=”21″ align=”left”]L’economia politica del populismo[/su_heading]
Lo scienziato politico Philip Manow distingue nei paesi europei tre modelli di organizzazione socio-economica (“L’economia politica del populismo”). Nel nord e nel centro prevale lo stato sociale generoso ed accessibile a tutti, nel sud vi è lo stato sociale particolaristico e spesso clientelare, e nei paesi anglosassoni ad economia liberale e con un mercato del lavoro liberalizzato prevale uno stato sociale residuale. Una sempre più stretta integrazione significa che i paesi dell’Unione europea, secondo il loro modello organizzativo – come scriveva Dostoevskij – saranno tutti “infelici a modo loro”. Il modello di stato sociale nordico può convivere con il libero scambio perché provvede a compensare i cittadini per le perdite subite, ma viene sopraffatto da una forte immigrazione. Nel sud lo stato assistenziale clientelare esclude gli immigrati dai suoi benefici, ma i membri soffrono per la concorrenza commerciale e l’austerità fiscale. E nello stato sociale residuale, i lavoratori non specializzati perdono la guerra contro gli immigrati.
L’euro e le crisi migratorie negli anni fra il 2010 e il 2015 hanno portato a diversi movimenti di protesta nei diversi gruppi di paesi, movimenti politici raggruppabili in base alla loro organizzazione socio-economica. Laddove l’immigrazione viene percepita come un problema importante, sono stati i partiti di protesta di destra a trarne un vantaggio elettorale (stato di welfare nordico e stato sociale residuale). D’altra parte, dove la concorrenza e l’austerità fiscale vengono percepite come oppressive, ne hanno approfittato politicamente i partiti di protesta di sinistra. L’Italia rappresenta ancora una volta questa divisione all’interno dei suoi confini: nel nord, organizzato molto meglio in termini di stato sociale, domina la lega anti-immigrati, politicamente di destra; nel sud invece, organizzato sulla base delle clientele, sono i Cinque Stelle a dominare, politicamente di sinistra e in favore di una maggiore spesa pubblica.
[su_heading style=”modern-2-blue” size=”21″ align=”left”]Sempre più partiti di protesta al Parlamento europeo[/su_heading]
Se l’analisi di Manov è corretta allora la Brexit è solo la punta dell’iceberg di tutti i problemi creati dalla politica “dell’unione sempre più stretta”. A dire il vero, il caos attuale in Gran Bretagna sembrerebbe scoraggiarli dal risolvere questi problemi attraverso “l’uscita”. Ma secondo Albert Hirschmann ci sarebbe ancora “Voice”, vale a dire resistenza, ad affrontare i problemi. Ed è su questa linea che i partiti di protesta di destra e di sinistra che cercano seggi nel Parlamento europeo sembrano essersi insinuati. Secondo le ultime indagini di “Eurobarometro” della Commissione europea, nel nuovo parlamento, questi partiti potrebbero diventare il secondo partito più forte dopo il Partito popolare (conservatore).
Coloro a cui sta a cuore l’Unione Europea dovrebbero considerare l’ascesa dei partiti di protesta come il sintomo di una malattia sorta a causa di una politica di sempre maggiore integrazione pensata sulla tavola da disegno dell’economia. I politici che si definiscono “europeisti ferventi” tuttavia non sembrano averlo capito.
Sarebbe proprio un’ironia della storia se proprio i partiti di protesta riuscissero involontariamente a salvare l’UE rompendo la camicia di forza di un’integrazione sempre più stretta.
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