L’Iran ha appena confermato l’uccisione del più importante generale iraniano durante una incursione aerea USA presso l’aeroporto di Bagdad(vedi qui l’agenzia Pars Today): droni USA hanno colpito il corteo di auto che trasportava il generale iraniano all’uscita dell’aeroporto (qui e qui video). Anche Rai News e le agenzie internazionali confermano l’uccisione del generale che sarebbe stata effettuata con uso di droni statunitensi.
Vi è un ovvio tentativo di invertire con la forza la crescita dell’influenza iraniana in Iraq con un “attacco contro il suo quartier generale”.
L’attacco missilistico è avvenuto a sud dell’aeroporto di Baghdad. L’Arabia Saudita ha rivelato che i marines statunitensi hanno catturato il leader del blocco sciita Fatah – Al-Ameri (capo di Badr), e Kaisa Khuzali, capo della Lega dei Giusti (Asa’ib al-Haq) nonchè anche il leader di un altro partito parlamentare, Al-Haizal. Ma questa notizia non è ancora confermata. La televisione irachena riferisce che a seguito dell’ attacco aereo all’aeroporto di Baghdad, oltre al generale Qassem Suleimani sono stati uccisi anche il capo del Khashd-Shaabi, Abu Muhandis e il capo delle Forze Quds e altri 3 (incluso il capo delle forze di mobilitazione del popolo iracheno).
E’ da considerare che la visita era stata preannunciata come visita diplomatica tramite l’ambasciata svizzera, agli USA. Quindi era una visita ufficiale, Ciò segna un pericoloso precedente, dato che neanche in guerra si è mai attaccato il personale diplomatico in missione ufficiale e questo non è di secondaria importanza: è una regola internazionale. Anche per questo l’escalation dello scontro in Iraq e la reazione iraniana sono ovviamente inevitabili dopo questa azione terroristica, e la situazione si svilupperà attivamente nei prossimi giorni.
RAI NEWS – Pentagono: operazione ordinata da Trump “Su istruzioni del presidente i militari americani hanno intrapreso una decisa azione difensiva con l’uccisione del generale Qassem Soleimani per proteggere il personale americano all’estero”. Con questo comunicato il Pentagono ha annunciato il raid compiuto vicino Baghdad. Secondo il Pentagono Soleimani stava “attivamente mettendo a punto piani per colpire i diplomatici americani e uomini in servizio in Iraq e in tutta la regione”. “Il generale Soleimani ha anche approvato gli attacchi contro l’ambasciata americana a Baghdad che hanno avuto luogo questa settimana”, si legge ancora nella nota. Lo stesso Soleimani è considerato responsabile della morte di centinaia di militari della coalizione e di americani e di aver ‘orchestrato’ l’attacco del 27 dicembre che ha ucciso un cittadino statunitense. – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/raid-usa-aeroporto-baghdad-ucciso-generale-iraniano-soleimani-capo-al-quds-e581876a-fb3f-4c58-8be7-e2038ff08103.html
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) January 3, 2020
Questa la dichiarazione del Pentagono:
Si tratta evidentemente di un omicidio effettuato sul suolo di un paese terzo, tra stati che non sono in guerra. L’azione va contro ogni logica e contro il diritto internazionale. Il generale Suleimani era stato invitato dal governo iracheno come consigliere, in seguito ai disordini diffusi nel paese. Alla domanda che alcuni (pochi) si stanno facendo sui social “ma che ci faceva Suleimani in Iraq?”, rispondo: ogni paese sceglie gli alleati che vuole. Suleimani non era evidentemente un clandestino e le milizie sciite sono state determinanti per schiacciare l’ISIS che gli USA hanno fomentato tramite Breman e Negroponte. Oggi la domanda è più che mai lecita: cosa ci fanno ancora gli USA in Iraq, dato che più volte il Parlamento iracheno ha espresso la volontà che gli USA devono lasciare il paese? E’ anche da considerare che ai precedenti raid USA che hanno colpito i 5 campi delle milizie – aggregate all’esercito iracheno ed alle forze missilistiche irachene – , il premier iracheno si è opposto, ma invano.
L’omicidio di Suleimani è l’ennesimo brutto segnale, è come dire che chiunque abbia un’aviazione ed un’intelligence, può uccidere chiunque e dovunque. Gli americani – compiaciuti e non nutrendo alcun dubbio – continuano a riscrivere costantemente ciò che è lecito o non lecito fare, credendo che la propria superiorità militare può risolvere qualsiasi conflitto e sia sufficiente per vincere in base a nuove regole da loro imposte a tutto il mondo. Evidentemente poco importa che i 733 000/1.200.00 (Opinion Research Survey) iracheni morti a seguito del conflitto del Golfo (marzo 2003-agosto 2007) abbiano abbondantemente sconfessato tali teoremi.
REAZIONI
Il leader supremo iraniano Ali Khamenei ha promesso di vendicare la morte del capo del Corpo delle forze speciali della rivoluzione islamica della rivoluzione islamica (KSIR) Qassem Suleimani.
“Una dura vendetta attende quelli sulle cui mani è rimasto il suo sangue, così come il sangue di altri martiri”, ha dichiarato Khamenei in una dichiarazione in cui dichiara un lutto di tre giorni in relazione alla morte del generale.
Anche il presidente iraniano Hassan Rouhani ha promesso di vendicare gli Stati Uniti per l’uccisione di Suleymani. Secondo il ministro della Difesa Amir Khatami, Teheran darà una “risposta schiacciante” a coloro che stanno dietro l’assassinio del comandante.
CHI ERA IL GENERALE SULEIMANI
Sulla leggendaria figura del generale Suleimane scrive Sebastiano Caputo sulla sua pagina facebook:
Di questa figura leggendaria ne ho scritto nel mio libro “Mezzaluna sciita. Dalla lotta al terrorismo alla difesa dei cristiani d’Oriente” (www.gogedizioni.it/prodotto/mezzaluna-sciita/). Prima di parlarne leggete qui:
——————————
“L’ascesa della Mezzaluna Sciita è strettamente legata alla sua figura umile, misteriosa, non ordinaria. Il suo nome è Qassem Suleimani. Nacque l’11 marzo 1957 nella città di Qom (secondo il Dipartimento di Stato Usa) o nel villaggio di Rabord, vicino alle montagne afghane, nella provincia sud-orientale del Kerman (secondo le fonti persiane); ma quello che si sa per certo è che provenga da una famiglia di poveri contadini. La determinazione geografica dell’in- fanzia di Suleimani è importante: chi ha vissuto a contatto con il mondo agricolo non dimentica il debito dell’uomo verso la terra. A differenza di Qom, centro di scuole teologiche e città di pellegrinaggio, Rabord è un posto remoto e con una società organizzata in modo tribale. La conoscenza ottenuta vivendo a contatto con tale struttura sociale gli diede le capacità di coordinare in guerra le diverse tribù che popolano il Vicino e Medio Oriente. Sebbene non ci siano informazioni sulla famiglia di Qassem, il suo cognome lo riconduce alla tribù dei Suleimani, spostatasi nel Kerman dalla pro- vincia Fars nel Settecento. Poiché la famiglia di Qassem aveva un debito verso il governo, si può immaginare che i genitori lavorassero come mezzadri.
Per ripagare il debito, finite le scuole primarie (1970) Suleimani trovò qualche anno dopo lavoro come tecnico per la Kerman Water Organization. Dal 1976 subì l’influenza dei fermenti rivoluzionari attraverso le prediche che Hojjat al Eslam Reza Kamyab (assassinato del 1981) recitava durante il Ramadan a Kerman, anche se secondo diverse fonti non ebbe un ruolo preciso durante i sollevamenti del 1979. Si arruolò subito dopo nel neonato Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica (i Pasdaran), e nei primi quarantacinque giorni di addestramento diede prova di quelle abilità militari che solo un giovane di provincia, lontano dalle mollezze delle città e abituato al lavoro può possedere a quella età; venne nominato istruttore e successivamente impiegato a Mahabad (una zona di confine con Iraq e Turchia) nella repressione di gruppi separatisti curdi, affidando con estrema intelligenza ad un gruppo di combattenti irregolari di Kerman la protezione della città. Durante la guerra con l’Iraq par- tecipò a numerose operazioni militari, ottenendo, dal 1981 al 1988, numerosi successi. Tornato a Kerman eseguì l’ordine di combattere i traffici di droga in quella zona, una delle più instabili dell’Iran a causa della forte presenza sunnita (nella quale rientrano i Beluci) e del narcotraffico. Suleimani venne promosso Comandante della Brigata Gerusalemme (Quds Force, forza speciale dei Pasdaran che si occupa delle operazioni extraterritoriali), in un periodo di vulnerabilità della Repubblica Islamica dell’Iran, la quale perdeva influenza in Afghanistan in seguito all’ascesa dei gruppi talebani e giocò un ruolo chiave nell’agosto del 1998 quando i talebani sun- niti occuparono l’ambasciata dell’Iran a Mazari Sharif e uccisero un giornalista e nove diplomatici iraniani. Ma la svolta della sua popolarità avvenne nel 2014 parallelamente alla nascita dello Stato Islamico. Nel corso di un diretta televisiva promise al popolo iraniano di sconfiggere il Califfato in soli tre anni. Quelle immagini diventarono virali sul web al punto che, prima ancora di partire in missione per conto di Allah, le botteghe già lo raffiguravano ovunque con la sua solita espressione sobria, incorniciato dalla divisa militare verde e la barba grigia. Suleimani non è un generale che passa il tempo dietro una carta geografica, e nelle poche immagini che lo immortalano, lo vediamo vicino ai suoi soldati, seduto per terra a bere tè, mangiare, pregare, con gli stivali sporchi di fango.
Numerosi testimoni rimangono impressionati dalla sua presenza. Quando mi recai a Mashhad ebbi la fortuna di avere una conversazione con il comandante iraniano Sayyad Mohammad Yayavi, il quale partecipò alla riconquista di Aleppo nel dicembre 2016, al fianco del Generale Qassem Sulemaini. “Era umile, calmo, faceva sentire tutti importanti”. Allo stesso tempo però era inafferrabile, fugace, compariva e scompariva, nel solco della grande tradizione sciita della “parusia” e del Dodicesimo Imam. E qualche anno dopo, caduto lo Stato Islamico grazie alla ragnatela che silenziosamente aveva costruito nel tempo con Bashar al Assad e Hassan Nasrallah, in un momento in cui la Repubblica Islamica dell’Iran era sotto pressione internazionale, molti lo invitarono a candidarsi alle elezioni successive. Aveva mantenuto una promessa militare, quella elettorale sarebbe stata una passeggiata. E invece scrisse una lettera ad Ali Khamenei, diventata di dominio pubblico, in cui diceva: “sono nato soldato e morirò da soldato coi miei soldati” (Mezzaluna sciita. Dalla lotta al terrorismo alla difesa dei cristiani d’Oriente, GOG Edizioni, pag 92 e 93).