In Turchia il primo incontro al vertice tra alti ufficiali russi, americani e turchi

Secondo quanto riportato dal quotidiano americano ‘Daily News‘ il 7 marzo, per la prima volta, ufficiali turchi, statunitensi e russi si sono incontrati ad Antalya (Turchia) in quello che per il suo genere è stato ‘il primo vertice tripartito‘. La riunione era stata annunciata il 6 marzo dall’emittente turca Haber  TV.

Al meeting ha preso parte il capo di stato maggiore turco generale gen. Hulusi Akar,  il capo di stato maggiore degli Stati Uniti generale Joseph Dunford e il capo di stato maggiore russo generale Valery Gerasimov. Sebbene nel corso degli ultimi mesi erano avvenuti incontri bilaterali, finora
non era mai avvenuto un vertice diretto a tre.

I particolari della riunione sono stati resi noti ieri dal primo ministro turco Binali Yıldırım nel corso di una conferenza stampa con il suo omologo giordano. Yıldırım ha detto ai giornalisti che l’incontro al vertice si è reso necessario a causa della situazione a nord della Siria. Tale area vede a distanza molto ravvicinata contrapporsi le forze statunitensi, quelle siriane e quelle turche.

“C’è grande affollamento di forze intorno a Manbji”, ha detto significativamente il 1° marzo, il generale americano Townsend comandante della Combined Joint Task force Operazione Resolve ha detto ai giornalisti del Pentagono. Secondo il generale statunitense a nord della Siria si è creato un “campo di battaglia affollato” e tutte le forze che agiscono in Siria “sono confluite letteralmente l’un l’altra a portata di bomba a mano“.

La pericolosità non è solo militare ma anche politica: deriva dalla poca chiarezza degli obiettivi dell’operazione ‘Eufrate Shield’. I turchi infatti dicevano di voler proseguire in territorio siriano per liberare Raqqa ma sembra che Ankara più che alla conquista della ‘capitale del Califfato’ sia interessata soprattutto ad acquisire solo nuovi territori da sottrarre ai curdi .

Nei giorni scorsi le milizie filo-turche, hanno ripetutamente attaccato le forze regolari dell’esercito siriano e le forze filo-americane Syrian Democratic Force (SDF). L’evidenza è che la presenza turca in terra siriana più che essere giustificata dall’interesse comune di sconfiggere  lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) sia il mezzo per mettere in atto i propri interessi egemonici nell’area e nello stesso tempo ottenere il massimo vantaggio dagli alleati russi e americani. Da parte loro, gli Stati Uniti dopo l’elezione di Trump, sembrano aver mutato i propri obiettivi mettendo al primo posto la lotta all’ISIS.

Comunque, almeno per il momento, l’avanzata di Ankara in territorio siriano, è stata interrotta: unità americane hanno raggiunto rapidamente Manbji e si sono collocate in una base avanzata a 10 Km dalle forze turche sventolando la bandiera americana. Così le forze turche sono impossibilitate a proseguire a meno che non scelgano uno scontro diretto con gli USA, con conseguenze inimmaginabili.

Ora è fondamentale chiarire le rispettive posizioni ed intenzioni. E’ per questo che il primo ministro turco Binali Yıldırım ha detto in conferenza stampa che “è necessaria una coordinazione tra le forze, altrimenti vi è il rischio di un conflitto che la Turchia non desidera”.  Nello stesso tempo, si capisce che la Turchia non gradisce l’interposizione delle statunitensi a Manbji perchè esse stanno ostacolando i piani turchi: l’operazione Eufrate Shield in realtà rappresenta per Ankara una variante per realizzare quello che ha fatto finora sostenendo i terroristi filo-turchi.

In particolare durante il meeting è emerso che la Turchia si mostra disponibile a partecipare con le proprie forze di terra alla presa di Raqqa ma a condizione che si pervenga ad un accordo con cui la si autorizzi ad espandere la propria presenza oltre Manbji (con tutte le conseguenze immaginabili). La proposta turca prevede anche l’impegno di non attaccare le forze del Partito dell’Unione Democratica (PYD) ma allo stesso tempo non fa menzione delle altre formazioni curde. Tale proposta non sembra però aver riscosso eccessivo entusiasmo da parte della controparte americana. 

In tutti i modi, la presenza turca comunque è stata utile al governo siriano. Anche se la Siria non vede volentieri l’ingresso turco in Siria, Damasco ha beneficiato del ritiro delle forze ribelli filo-turche da Aleppo ed il generale alleggerimento in tutta la Siria ha reso disponibili più forze da impiegare in altre aree strategiche.

La parte turca ovviamente non ha fatto questo per niente. Infatti, ora non vedendo del tutto soddisfatte le proprie ambizioni patteggia. Tuttavia, non è da dimenticare che le forze turhe sono costituite in massima parte da milizie irregolari: le forze che l’esercito turco si porta dietro, sono costituite per l’80% da milizie filoturche,  nient’altro che le bande islamiste che gravitavano in Aleppo ed in altri punti della Siria caratterizzate dal forte odio verso Assad.

In definitiva, l’incontro di Antalya sembra aver avuto come scopo più una funzione “deconflicting” operativa che la volontà di allinearsi alle posizioni turche. La possibilità di un coordinamento è comunque aperta ma visto il comportamento dei turchi tenuto finora nei confronti dei curdi in Siria, è naturale che Stati Uniti e Russia andranno avanti con prudenza.

 

 

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