Una precisa volontà politica che peggiora le cose, solo per consolidare il proprio potere

Com’è la situazione dei conti italiani oggi? Quali prospettive per il futuro? Ne parla  Gilberto Trombetta su il Vaso di Pandora:

Questo un suo precedente contributo tramite FB su dati ISTAT  II trim. 2020:

LO STATO DI SALUTE DELL’ITALIA – di Gilberto Trombetta
È uscito il consueto report annuale dell’ISTAT¹, quasi 300 pagine di dati e di statistiche per raccontare lo stato di salute del Paese.
L’attuale crisi, l’ennesima legata a un sistema economico [ordo]liberista tutto puntato sull’export a scapito del mercato interno e dell’interventismo statale in favore di lavoro e salari, va collocata nel quadro di in un Paese che ancora non era tornato ai livelli precedenti la crisi del 2008 (grafico 1).

IL DEBITO PUBBLICO
Il rapporto debito/PIL (grafico 2), nonostante una spesa pubblica sostenuta, era perfettamente sotto controllo durante il 30ennio glorioso (dalla fine della II guerra mondiale alla fine degli anni 70). Al contrario di quello che ci hanno raccontato per giustificare l’adesione allo SME e il divorzio BdI/Tesoro, a causa dei quali invece esplose.

IL CROLLO DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE
Dopo il crollo segnato a marzo (-28,4%), la produzione industriale nel mese di aprile ha segnato un’ulteriore caduta congiunturale: -19,1%. Vuol dire che rispetto ai livelli di febbraio l’indice è diminuito del 44% (grafico 3). Nell’ultimo mese la contrazione della produzione è stata particolarmente severa per i beni durevoli (-65,5%) e meno accentuata per i beni strumentali e intermedi (rispettivamente -21,8% e -24,6%). I beni di consumo non durevoli (-8,4%) hanno risentito positivamente della tenuta della produzione di beni alimentari (-0,1%) mentre l’energia ha mostrato un modesto recupero (+0,7 per cento) dopo la discesa dell’8,8 per cento di marzo.

IL LAVORO TRA PRECARIETÀ E INATTIVITÀ
I lavoratori in cassa integrazione guadagni (Cig) sono passati da meno di 50.000 di febbraio ai circa 1.200.000 di marzo e ai quasi 3.500.000 di aprile. Un aumento senza precedenti degli occupati che non hanno lavorato nella settimana di intervista: circa un quarto del totale a marzo e oltre un terzo ad aprile, pari a circa 7.600.000 lavoratori. Nei mesi di marzo e aprile (grafico 4), nonostante la caduta dell’occupazione, si è registrata una diminuzione della disoccupazione (-484 mila, -23,9%) dovuta all’eccezionale aumento dell’inattività (+746.000, +5,4%).

Nonostante negli ultimi anni il numero di disoccupati sia diminuito, passando dagli oltre 3.200.000 del 2014 a quasi 2.600.000 del 2019, il livello rimane ben al di sopra di quello del 2008 (1.700.000, +52%). La componente giovanile della disoccupazione continua a essere significativa (quasi il 30% dei disoccupati ha tra i 25 e i 34 anni). Il Mezzogiorno presenta un tasso di disoccupazione tre volte superiore a quello del Nord-est e doppio rispetto al Centro. Gli inattivi di 15-64 anni, si sono ridotti dal 2008 al 2019 di quasi 1.200.000 (-8,2%), prevalentemente però per l’aumento dei disoccupati (+900.000).

Risultano in crescita, rispetto al 2008 (+186.000), anche le forze lavoro potenziali, cioè la componente dell’inattività costituita da quanti sono disponibili a lavorare se si presentasse la possibilità anche se non hanno svolto azioni di ricerca. Il tasso di mancata partecipazione è nel Mezzogiorno quasi tre volte e mezzo superiore a quello del Nord, quello dei giovani più del doppio di quello degli ultracinquantenni, quello di chi ha un basso livello di istruzione due volte e mezzo quello dei laureati. Nel complesso il segmento di forza lavoro non utilizzata e potenzialmente impiegabile è di circa 5.500.000 di individui nel 2019 (2.600.000 di disoccupati e 2.900.000 di forze lavoro potenziali). Nel 2008 la forza lavoro non utilizzata ammontava a 4.400.000, il 20% in meno (di cui 1.600.000 disoccupati e 2.800.000 forze lavoro potenziali).

Gli italiani hanno fronteggiato l’ormai decennale crisi prevalentemente grazie ai redditi da lavoro di chi era rimasto occupato, ai redditi da pensione e ricorrendo agli eventuali risparmi accumulati. Come conseguenza, la povertà assoluta è salita con forza passando dal 4,0% del 2008 al 6,4% del 2019 quella familiare e dal 3,6% al 7,7% quella individuale. Nel 2019 gli italiani in povertà assoluta sono quasi 4.600.000.

I TAGLI ALLA SANITÀ
L’emergenza sanitaria interviene a valle di un lungo periodo in cui il Servizio Sanitario Nazionale è stato fortemente ridimensionato nelle risorse finanziarie, causando un pesante indebitamento a carico delle Regioni. L’Italia impegna infatti per la sanità pubblica il 6,5% del PIL, molto meno del 9,5% della Germania, del 9,3% della Francia e del 9,2% della Svezia ed è al 12° posto nella graduatoria dei Paesi UE. La maggior parte di queste risorse, in Italia, è allocata per l’assistenza ospedaliera, alla quale va il 3,8%, il che ci colloca al 5° posto in Europa, dietro Danimarca (4,2%), Francia, Svezia e Norvegia (4,1%). La quota di risorse destinate dal nostro Paese all’assistenza sul territorio è pari all’1,2% del PIL, cosa che ci vale il 15° posto nell’UE: un impegno finanziario molto basso, se confrontato con la Germania (2,9%), il Belgio (2,7%) e la Danimarca (2,3%).

L’austerità degli ultimi anni ha portato alla contrazione delle prestazioni, alla riduzione della rete ospedaliera, dei posti letto e del personale sanitario. Anche la riduzione della spesa per investimenti è stata causata dall’austerità: si è passati dai 2,4 miliardi del 2013 a poco più di 1,4 miliardi del 2018 (-41%).
Al rallentamento della componente pubblica ha corrisposto una crescita più sostenuta della spesa privata delle famiglie, che in questo periodo è aumentata in media del 2,5% annuo, assumendo un ruolo supplementare rispetto all’assistenza pubblica.

Rispetto al 2012 la diminuzione del personale sanitario è stata del 4,9% e ha riguardato sia medici (-3,5%) che infermieri (-3,0%). Nello stesso periodo (2012-2018) il solo personale a tempo indeterminato del comparto sanità si è ridotto di 25.808 unità (-3,8%): i medici sono passati da 109.000 a 106.000 (-2,3%) e il personale infermieristico da 272mila a 268mila (-1,6%). L’Italia dispone di 39 medici ogni 10.000 residenti, un numero sensibilmente inferiore a quello della Germania, che ne conta 42,5. A causa del blocco del turnover detiene inoltre il primato dei medici più anziani (grafico 5): la percentuale di quelli attivi di 55 anni o più è del 55%. Tanti anche i medici over 65 (15,5%).

Per quanto riguarda il numero di infermieri l’Italia, con circa 350.000 professionisti, cioè 58 ogni 10.000 residenti, si colloca nella parte bassa della graduatoria (grafico 6), e precede solo Spagna (57,4), Cipro (53,8), Polonia (51,0), Lettonia (45,7) e Bulgaria (43,7). La Germania e la Francia hanno una dotazione circa doppia rispetto all’Italia. Mentre la maggior parte dei paesi Ocse ha circa 3 infermieri per ogni medico, in Italia il rapporto è di 1,5.

Nel 1995, i posti letto ospedalieri erano 356.000, pari a 6,3 per 1.000 abitanti. Dal 2010 al 2018, il numero di posti letto è diminuito in media dell’1,8% l’anno, continuando un andamento iniziato nella metà degli anni 90. Si è passati dai 244.000 posti letto del 2010 ai 211.000 del 2018. Si tratta di 3,49 posti letto ogni 1.000 abitanti.

Nel 2018 il personale addetto alle cure primarie ammonta a circa 43.000 medici di medicina generale e 7.500 pediatri di libera scelta (PLS). Rispetto al 2012, i MMG sono diminuiti di 2.450 unità e i PLS di 157. L’Italia dispone di 7,1 MMG ogni 10.000 residenti. I PLS sono 9,3 ogni 10.000 bambini e adolescenti con meno di 15 anni. I medici di continuità assistenziale in Italia sono 17.306, 2,9 ogni 10 mila residenti.
Le strutture gestite dalle Asl, nel 2017, sono complessivamente 5,8 ogni 100 mila abitanti, in diminuzione rispetto al 2009, quando erano 6,4.

L’ASCENSORE SOCIALE PORTA SOLO IN BASSO
Per la prima volta dalla fine della II guerra mondiale, a parità di generazioni, i figli hanno perso terreno rispetto ai genitori. Nel passaggio dalla generazione dei genitori a quella dei figli si è verificato un considerevole rallentamento dell’espansione dimensionale delle classi medie e superiori.
Una tendenza iniziata a partire dalla metà degli anni 90 con la prolungata fase di stagnazione del nostro sistema economico. Iniziata cioè quando, con la firma del trattato di Maastricht e l’adesione all’Eurozona, sono cominciati gli avanzi primari e la compressione della domanda interna per recuperare terreno nell’export penalizzato da una moneta sopravvalutata per l’Italia.

Un peggioramento tanto più incisivo considerando che, tra i componenti dell’ultima generazione, la quota di persone mobili in senso discendente supera quella con mobilità ascendente, marcando così una netta discontinuità nell’esperienza storica compiuta dalle generazioni nel corso di tutto il XX secolo (grafico 7).

LA CARENZA CRONICA DI DIPENDENTI PUBBLICI
Al contrario di quanto ritengano in molti (troppi), l’Italia soffre da decenni di una carenza cronica, rispetto agli altri Paesi europei, di lavoratori pubblici in tutti i settori: sanità, amministrazione, difesa e ricerca. Nel 2019 la quota di lavoratori nella sanità (esclusa l’assistenza sociale) non raggiunge il 6%, mentre in Francia, Germania e Regno Unito si oltrepassa il 7%.

Il settore amministrazione pubblica e difesa, che ha perso dal 2008 190.000 occupati, presenta in Italia una quota del 5,3%, contro il 6,8% della media europea, con la Francia che supera il 9%. Per la ricerca, settore fondamentale per lo sviluppo del Paese, la quota occupazionale è ancora più bassa: meno della metà se confrontata con Germania e Francia (grafico 8).

ASILI NIDO, POCHI E TROPPO CARI
L’aumento nel’uso del nido che si è registrato negli ultimi anni avviene soprattutto laddove la diffusione delle strutture è ampia e consolidata e quando il reddito familiare è alto. Ordinando per quintili il reddito delle famiglie, la percentuale di famiglie con bambini che frequentano il nido cresce via via che si passa dal primo, quello che racchiude l’insieme delle famiglie più povere (in cui solo il 13% ricorre al nido), all’ultimo, dove si collocano le più ricche (31,2%).
L’accesso al nido viene razionato, quindi, proprio nelle situazioni di disagio, dove sarebbe più importante al fine di ridurre lo svantaggio che deriva dalle condizioni socio-economiche di partenza (grafico 9).

Il costo contribuisce a condizionare la scelta dei genitori. Le tariffe di iscrizione sono infatti alte: mediamente la spesa sostenuta dalle famiglie che usano il nido, pubblico o privato, è 1.996 euro all’anno.
Un dato che trova conferma nelle informazioni tratte dai bilanci dei Comuni che riportano, come compartecipazione delle famiglie alla spesa per un bambino iscritto nei nidi comunali, un importo annuo medio di circa 2.000 euro. Come se non bastasse, l’offerta di posti è fortemente eterogenea tra territori, a sfavore delle aree meno ricche.

Ancora una volta a risultare penalizzato è il Mezzogiorno: sommando i posti disponibili nei nidi e nei servizi integrativi, pubblici e privati, mediamente non si arriva a coprire il 15% dei bambini fino a 3 anni di età. Un valore distante da quello delle regioni del Centro-Nord (grafico 10).

IL CROLLO ULTERIORE DELLA NATALITÀ
Non deve stupire alla luce dei dati su lavoro e accessibilità dei nidi, l’ulteriore crollo della natalità: nel 2018 i neonati sono stati 439.747, oltre 18.000 in meno rispetto all’anno precedente e quasi 140.000 in meno rispetto al 2008. E secondo le stime preliminari, le nascite nel 2019 sono calate ulteriormente, arrivando a 435.000.

Coronavirus – Da una parte una malattia reale dall’altra la paura enfatizzata dalla comunicazione massmediatica

L’autore dell’articolo, il dott. Paolo Gulisano, svela tutto quello che non ci hanno detto sul Coronavirus mentre il video dal titolo “Hai paura del Coronavirus?” sullo stesso argomento video dura 1 ora e 46 minuti. Non mancate soprattutto di vedere soprattutto l’esperienza  che il dottore racconta dal minuto 22 , questo resetta letteralmente tutto il nostro sentire comune.

@vietatoparlare

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di DottPaolo Gulisano, epidemiologo

Sono in corso grandi manovre nella Sanità italiana, manovre che dovrebbero portare a radicali trasformazioni dell’assistenza sanitaria, in particolare quella ospedaliera. Per operare una rivoluzione di questo tipo, è necessaria una giustificazione incontrovertibile, e questa si chiama Covid. Per questo l’epidemia non deve finire. Per questo si è arrivati a fare 100.000 tamponi al giorno, un numero impressionante. Un numero che garantisce – avendo una percentuale di positivi dell’1 per cento, di arrivare alla soglia – molto significativa dal punto di vista psicologico – dei mille “contagiati” al giorno enfatizzati a dovere dai media di regime.

Il Covid – ha detto qualcuno – è l’unica malattia dove sono i medici (o meglio il sistema sanitario) a cercare i malati e non viceversa. I numeri garantiscono il perpetrarsi della paura. Paura di una malattia curabilissima, che fa pochissime vittime. Già, potrebbe dire qualcuno, ma in precedenza le ha fatte: 35.000 morti. La guerra delle cifre vede in posizione dominante chi detiene le leve principali dell’informazione, ma verità scomode sembrano emergere come un fiume carsico.

IL GRANDE CALDERONE DEL COVID

Da tempo si discute di quanti siano effettivamente i morti a causa del Covid, rispetto a coloro che sono deceduti con il Covid come concausa, magari in una situazione di pregresse gravi patologie croniche. Stanno ora emergendo altri aspetti problematici, legati anche alle modalità con cui vengono redatti i certificati di morte: casi semplicemente sospetti, non confermati da test sierologici o da tamponi, vengono comunque classificati come Covid (come documentiamo con questa foto di un certificato di morte redatto dall’Asl 4 di Genova). Su che base? Di sintomi “suggestivi” di infezione da Covid.

Insomma, qualunque polmonite, provocata da altri agenti microbici, finisce nel grande calderone del Covid. Nelle scorse settimane il presidente dell’Istat, l’ente nazionale di statistica, aveva sottolineato che i morti di Covid nel mese di marzo erano di numero inferiore a quello dei deceduti nei due anni precedenti per altre polmoniti. Insomma: il sospetto, più che giustificato, è che si siano voluti gonfiare i dati del Covid “rinforzandoli” con quelli di altre patologie respiratorie, e non solo.

Ora si sta cercando di aumentare ulteriormente queste cifre: il Ministero della Sanità infatti ha dato l’indicazione di annoverare tra i morti di Covid anche coloro che mesi dopo la malattia, dalla quale erano guariti, sono poi deceduti per altra causa. Insomma: ad una persona viene un infarto, un ictus, ma se a marzo aveva fatto il Covid la causa di morte deve essere considerata questa.

PRESSIONE PSICOLOGICA SULLA POPOLAZIONE

Il mantenimento di uno stato altissimo di pressione psicologica sulla popolazione ha diversi obiettivi, tra i quali – dicevamo – quello di cambiare il volto della Sanità pubblica. Da mesi nei nostri ospedali interi reparti sono chiusi, l’attività chirurgica sospesa o ridotta, la diagnostica ridimensionata. Sono indicazioni che vengono dal governo: tenere liberi migliaia di posti letto in vista di potenziali aumentati afflussi di pazienti. In realtà, con la politica del terrore, ciò che accadrà a breve, a cominciare dai primi raffreddori di inizio autunno, sarà un assalto agli ospedali, ai Pronto Soccorso, di persone affette da patologie banalissime ma che avranno il terrore, con un po’ di rialzo febbrile o qualche colpo di tosse, di avere il Covid. E dovranno essere comunque visitati, trattenuti in osservazione qualche ora, sottoposti a tampone. Un dispendio enorme di tempo del personale e di risorse economiche. E intanto le attività cliniche e diagnostiche per patologie importanti subiranno rallentamenti e difficoltà con conseguenze gravissime.

Sicuramente il sovraffollamento – si badi bene, dei Pronto Soccorso, non dei reparti- verrà usato mediaticamente in un circolo vizioso della paura, che utilizzerà le fasce più deboli, più spaventate, più impressionabili della popolazione per far vedere che il virus è ancora in agguato, pronto a diventare seconda, terza, ennesima ondata.

Gli ospedali si trasformeranno in enormi poliambulatori dedicati a quelli che saranno, nella stragrande maggioranza, dei “codici bianchi” che potrebbero essere trattati dalla rete di Medicina territoriale, dai Medici di Medicina Generale. Avremo ospedali trasformati in “Covid Centers”, che metteranno a rischio l’eccellenza raggiunta con fatica e tempo dall’assistenza ospedaliera.

Uno scenario da incubo, che dovrebbe essere assolutamente evitato.

 

Recovery e MES scelte illogiche – commento sul risultato delle elezioni

RecoveryMes, verrà la Troika e avrà i suoi occhi

di Gilberto Trombetta

Oggi l’Istituto Luce (la stampa dominate) esulta compatto per la grande vittoria di Conte dell’Italia.

Vediamola dati alla mano questa grande vittoria dell’Italia.

I sussidi sono scesi dai 500 miliardi iniziali a 390. Sostituiti, ovviamente, da un considerevole aumento della quota prestiti (a cui si potrà accedere solo dopo l’uso dei sussidi, quindi non prima del 2024).

Per quanto riguarda i sussidi, all’Italia ne dovrebbero arrivare una cifra compresa tra i 68 e gli 82 miliardi. Erogati tra il 2021 e il 2024, nella “migliore” delle ipotesi.

Cioè una somma equivalente circa all’1% del nostro PIL a fronte di un crollo, solo quest’anno, di almeno il 12%.

Sussidi che non sono a fondo perduto poiché a partire dal 2026 andranno restituiti.

O con l’aumento del contributo al bilancio europeo da parte dell’Italia o con una maggiore imposizione fiscale.

L’uso di questi sussidi è legato inoltre a condizioni vincolanti almeno quanto quelle del MES. Insomma dobbiamo fare le riforme: aumento dell’età pensionabile e taglio delle stesse, taglio dei diritti dei lavoratori e dei salari, taglio e privatizzazione del SSN, taglio del restante stato sociale.

Altrimenti basterà il veto di un qualsiasi Paese per sospenderne l’erogazione.

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Quindi si tratta di un Recovery MES più che di un Recovery fund.

Ci hanno portato la troika in casa insomma.

In cambio però pagheremo anche per gli sconti fiscali (rebates) di contributo al bilancio UE di cui usufruiranno altri Paesi.

Più nel dettaglio, ogni anno e almeno fino al 2027, la Germania (maggiore beneficiaria, come al solito) risparmierà 3,671 miliardi di euro, l’Olanda 1,921 miliardi, la Svezia 1,069 miliardi, l’Austria 565 milioni e la Danimarca 377 milioni.

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Lasceranno però a noi la scelta su cosa tagliare e le nuove imposte da applicare per aumentare il già trentennale avanzo primario per contribuire (rimborsare) al Recovery MES, mentre per quanto riguarderà la sempre minore spesa pubblica, dovrà passare tutto per l’approvazione di Bruxelles.

Questo è quello che Conte e la stampa di regime fanno passare come una vittoria storica per il Paese.

Il completo assoggettamento a potenze straniere del Paese e la sua definitiva morte economica.

da https://glindifferenti.it/recoverymes/4381/

Aldo Maria Valli: il caso Becciu e il problema della pulizia nelle finanze del Vaticano

Da The Guardian: “Il Vaticano non ha fornito una motivazione per le dimissioni di Becciu ma è arrivata prima della pubblicazione di un’indagine del settimanale italiano L’Espresso in cui si presumeva avesse donato almeno 600.000 euro (550.000 sterline) a una cooperativa di beneficenza gestita da uno di loro. dei suoi fratelli in Sardegna.

Becciu, che fino al 2018 è stato vice segretario di Stato, una delle posizioni più potenti in Vaticano, è stato anche coinvolto in un accordo controverso in cui il segretariato ha utilizzato i soldi della chiesa per acquistare un edificio di lusso a Londra come investimento.

La rinuncia al diritto di partecipare a un’enclave che elegge il prossimo Papa suggerisce che le ragioni di una dimissione o di un licenziamento sono gravi. L’ultima volta che ciò è accaduto è stato nel 2018, quando il cardinale statunitense Theodore McCarrick è stato accusato di abusi sessuali sui bambini”.

Il card Becciu ha annunciato querele, quindi aspettiamo per giudicare cosa è successo. Al fondo è innegabile che “esiste un problema della gestione del denaro nella casa del Papa e questo provoca tanto dolore nei credenti” dice Aldo Maria Valli.

Poi andrebbe chiarito di quello che è chiamato ‘il conto personale del Papa”, di questo Aldo Maria Valli dice “posso anche sbagliarmi ,  ma in base ai primi riscontri che ho cercato, in precedenza nella disponibilità dei precedenti papi non esistevano conti personali”.

@vietatoparlare

Claudio Borghi: la scelta di richiedere il Revovery Fund è per vincolare le scelte del prossimo governo all’Europa

Il normale strumento di finanziamento di uno Stato è rappresentato dalla collocazione dei titoli del debito pubblico sul mercato primario (i titoli di stato battuti mensilmente dal Tesoro), con una Banca centrale a garanzia che funga da prestatrice illimitata di ultima istanza. Esattamente come avviene negli Stati Uniti d’America, in Giappone e in Gran Bretagna. A dire il vero, seppur limitato al mercato secondario (per i titoli già in circolazione, oggetto di trattative tra privati), è ciò che sta facendo anche la Banca centrale europea negli ultimi anni.

Quel debito rappresentato dai titoli di stato, con una banca centrale a garanzia, in sostanza non è debito. Semmai, nella peggiore delle ipotesi, lo Stato non restituisce mai il capitale, ma solo gli interessi. Se dopo dieci anni l’investitore rivuole il capitale, lo Stato rivende quel titolo ad un altro investitore, cosicché l’esborso in conto capitale è zero. Idem se l’investitore rinnova il titolo. In entrambi i casi lo Stato paga solo gli interessi.

Con la formula dei prestiti, invece, la musica cambia. Che si chiami MES o Recovery Fund, il meccanismo è più o meno lo stesso. Lo Stato prima si indebita e poi deve restituire i soldi presi in prestito fino all’ultimo centesimo.

(…) Eppure la soluzione più ragionevole era a portata di mano: l’Italia avrebbe potuto collocare tutti i titoli di stato necessari sul mercato primario, con garanzia della Bce (come di fatto sta avvenendo sul mercato secondario dall’inizio della pandemia). Non vi sarebbe stata alcuna sorveglianza da parte di nessuno e nessuna riforma ci sarebbe stata imposta. E soprattutto – nella sostanza – non ci saremmo indebitati (per i motivi spiegati sopra). Ma qualcuno, sia fuori che in casa, ha voluto che all’Italia fosse messo un cappio al collo per almeno i prossimi vent’anni. (da Scenari Economici – https://scenarieconomici.it/il-recovery-fund-e-un-mes-che-ce-lha-fatta-ecco-come-funziona-di-giuseppe-palma/)

Nel video l’on Claudio Borghi della Lega, economista e profondo conoscitore del mondo finanziario, approfondisce con una immagine molto efficace (e con un aneddoto) le magie messe in atto dai nuovi stregoni.

Anche se ormai la cosa è fatta, vale la pena essere del tutto consapevoli di cosa succede. La libertà è soprattutto nella conoscenza piuttosto che nel verificarsi di un evento rispetto ad un altro.

@vietatoparlare

Emergenza sanitaria fondata su basi scientifiche o ‘reset’ politico e finanziario?

Il tema è di cocente attualità, visto il continuo bombardamento mediatico a cui siamo sottoposti e l’accurata selezione di chi , tra gli scienziati e virologi, è accolto nei salotti buoni. Ovviamente in una situazione normale sarebbe auspicabile l’apporto di tutte le voci, anche quelle dissenzienti.
Ciò , come sappiamo, non avviene. Ma non solo, chi ci prova è del tutto screditato.

 

Recovery Fund: il governo Italiano continua a presentarsi alle trattative UE senza alcuna strategia (con la sola preoccupazione di ingannare i cittadini italiani)

Perchè Conte è stato fregato dall’UE spiegato facile facile – Thomas Fazi

L’Italia è da 15 anni il quarto paese fra quelli che in gergo si chiamano “contributori netti”, che cioè garantiscono al budget dell’UE più soldi di quanti ne ricevono.

Perciò “la realtà è che qualsiasi tentativo di distribuire sovvenzioni in Europa, ci vedrebbe contribuenti e non beneficiari. Per il resto ci sono i prestiti, col guinzaglio del creditore privilegiato. Che essi siano erogati dal MES, dal SURE, dalla Commissione o da un nuovo veicolo finanziario, la sostanza non cambia. Saranno sempre assistiti da un pacchetto di condizioni, peraltro legittime dal punto di vista del creditore e dei Trattati, e metteranno definitivamente sotto tutela il nostro Paese. Ed è proprio lì che ci stanno portando”. (cit. Federico Punzi – Atlantico Quotidiano ).

Ci si aspetterebbe allora che nel un momento storico in cui siamo – che corrisponde ad una recessione senza precedenti –  almeno la Commissione Europea consentisse che quanto abbiamo versato ci fosse restituito ‘GRANTS” gratis, che ci fosse restituito semplicemente. Ma non è così e Conte. tutte le proposte di aiuto che la UE ci propone sono costituiti da prestiti gravati da interessi. Per cui non ci vuole molto a capire che il nostro rappresentante alle trattative europee ha le idee molte confuse, mentre Gualtieri non si capisce bene da che parte sta.

Per capire nel dettaglio ed in maniera chiara la vicenda, è chiarificatrice l’intervista di Vaso di Pandora condotta Carlo Savegnago a THOMAS FAZI (giornalista e scrittore su temi di economia e politica): spiega per filo e per segno e senza infingimenti perchè Conte sta operando nelle trattative con la UE in tema di fondi europei in maniera del tutto irrazionale e controproducente.

E’ una intervista che consiglio vedere per districarsi tra i tanti depistamenti dei media mainstream che stanno svolgendo un lavoro molto disonesto in questo particolare contesto storico, dove i cittadini andrebbero adeguatamente informati.

patrizioricci by @vietatoparlare

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