Suor Maria Francesca Righi: “Un virus che toglie il respiro in un mondo che sta perdendo il respiro della fede”

Vi propongo la testimonianza di Suor Maria Francesca Righi, Badessa del Monastero Cistercense di Valserena. La sua vocazione nasce durante il suo periodo di studi in Università Cattolica dove ha imparato ad amare San Bernardo e con i “suoi maestri” «l’idea, la promessa di una fede che diventa amicizia e cultura insieme – racconta – Amicizia perché cultura, una fede capace di giudicare il presente. Ed è quello che stiamo facendo adesso noi stesse monache con l’emergenza sanitaria dettata dal Covid19»:

“…è all’università Cattolica che ho riconosciuto per la prima volta l’idea la promessa della possibilità di una fede che diventa amicizia e cultura insieme ; amicizia perché cultura una fede capace di giudicare il presente ed è quello che stiamo facendo adesso noi stesse monache con l’emergenza sanitaria dettata dal covid-19  fenomeno inedito nei suoi affetti ma forse prevedibile nelle cause.

Di questo virus è impressionante il fatto che tocca proprio il respiro in un mondo che sta perdendo il respiro della fede. In sostanza noi monache trappiste cosa abbiamo fatto sostanzialmente? Nulla la nostra vita è solida scorre nei suoi
binari con tranquillità per attingere a una sapienza più grande e abbiamo continuato a fare quello che viviamo, salvo che abbiamo cercato in tutti i modi di mantenere aperta la nostra preghiera e in particolare l’Eucaristia
per il popolo che normalmente ci frequenta quando questo non è stato possibile abbiamo semplicemente intensificato la preghiera e dopo abbiamo cercato ,abbiamo imparato a fare, igienizzanti con il nostro lavoro
usando l’olio  di prodotti cosmetici e abbiamo anche imparato a cucire le mascherine per l’ospedale.

Semplicemente abbiamo continuato esserci per le persone che chiedevano una parola, un conforto un aiuto. Cosa possiamo imparare da questo momento? Tutto il mondo è costretto a scegliere ciò che noi  abbiamo liberamente voluto . Una
separazione, una clausura che a tanti fa  solo paura. Forse allora questo stile di vita basato sull’antica regola di Benedetto indica un compito che è quello proprio oggi di sostenere le dimensioni fondamentali dell’umanum e l’altra cosa che possiamo imparare è che questo umanum non è fatto per questa separatezza. L’essere umano è ontologicamente comunione.  C’è altro che riduce l’umanità ad atomi separati l’uno dagli altri  senza un’orizzonte ed una meta comuni.

Salviamo il pianeta? Piuttosto salviamo l’umanità.  Salviamo la fede, la religiosità, la carità, la speranza. Tante famiglie in difficoltà oggi si trovano a vivere il dolore che le abita e possiamo insieme reimparare la preghiera il rapporto con Dio
l’importanza dei sacramenti. Possiamo imparare a rivolgere nuovamente lo sguardo a Cristo e alla luce che sgorga dalle sue ferite. Possiamo costruire la comunione e l’affezione alle persone che ci sono affidate possiamo imparare quello che
importa. Questa lunga Quaresima è una grande educazione alla fine del tunnel vedremo la luce.”

SIRIA – Ex base USA viene reimpiegata dalle forze russe come centro di aiuto umanitario

Nel video le forze armate russe prendono possesso della base USA abbandonata di Sirin, Negli edifici dell’ex base americana di Sirin, verrà aperto un centro di aiuto umanitario per residenti locali. L’aeroporto sarà sorvegliato dalla polizia militare russa.

La base si trova nella parte orientale della città di Manbij e circa 30 chilometri a sud di Kobanê: era la struttura più grande della coalizione internazionale in Siria del nord e dell’est.

L’aerodromo di campo nell’area del villaggio nel nord della provincia di Aleppo è passato sotto il controllo delle forze governative della Repubblica Araba Siriana.

Attualmente, i genieri stanno verificando l’assenza di ordigni esplosivi.

L’area interessa un territorio  enorme, la base aerea di Sirin era una delle più grandi strutture militari dell’esercito americano in Siria.

Gli americani sono andati via con un  centinaio di camion. Sono state ascoltate esplosioni: gli americani hanno distrutto quasi tutto ciò che non potevano portare con sé.

“Siamo andati alla base, abbiamo perlustrato il perimetro interno ed esterno. Poste check point e organizzato pattuglie in coppia. Ora i genieri stanno controllando ogni edificio, ci sono rimaste sostanze esplosive e potrebbero esserci delle sorprese per noi qui ”, ha detto a Zvezda Damir, ispettore senior della polizia militare delle Forze armate RF.

Ma finora, le sorprese che sono state trovate sono piacevoli. La palestra è rimasta quasi intatta, gli aerei da trasporto possono ancora atterrare sulla pista non asfaltata. Questo è importante, poiché le forniture umanitarie verranno consegnate qui.

È qui che i negozi di alimentari, i vestiti, gli articoli per l’igiene personale saranno immagazzinati e ordinati, in modo che successivamente possano essere distribuiti ai residenti locali.

“Oggi stiamo iniziando a schierare un ramo del centro di riconciliazione nel villaggio di Metras, che aiuterà la popolazione facilitando così il ritorno  alla vita pacifica. Forniremo aiuti umanitari, forniremo assistenza medica ai residenti e li restituiremo a una vita pacifica “, ha affermato Sergei Zhmurin, capo del Centro per la riconciliazione delle parti in guerra.

I residenti nel nord della Siria iniziano davvero a tornare alla normalità. In questo contesto è utile il costante pattugliamento del territorio da parte dell’esercito russo. Ormai da più di tre settimane, la polizia militare parte ogni giorno per pattugliare le aree di confine.

“Alcuni giorni fa, queste case sono state abbandonate. Ora i prefabbricati saranno riutilizzati . Le pattuglie di polizia militare sulle strade della Siria sono una garanzia che questi luoghi sono di nuovo sicuri e che i terroristi non torneranno qui “, riferisce il corrispondente di Zvezda, Pavel Remnev.

fonte: Zvezda

La polizia militare russa libera soldati e ufficiali siriani nel nord della Siria 

Come vedete il trasferimento è illustrato dal  video di apertura di Rusvesna che mostra una pattuglia di polizia militare russa – che dopo una mediazione del comando militare russo – ha attenuto la liberazione di 18 militari siriani e ufficiali, catturati duranti i combattimenti con le milizie filoturche.

Ai militari siriani – che Rusvesna riferisce essere stati catturati da diversi giorni – è stata evitata così una dura prigionia e forse di peggio, visto che erano in custodia di bande jihadiste responsabili di trattamenti inumani e uccisioni di prigionieri.

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Il trasferimento è avvenuto al checkpoint di confine nell’area della città di Derbasia.

Rusvesna riferisce inoltre che “la polizia militare russa e l’esercito turco hanno tenuto una riunione in un posto di blocco alle frontiere nella regione della Derbasia per il pattugliamento congiunto della striscia di confine” e che “l”incontro è stato chiuso alla stampa”.

L’esercito siriano è incredibile, i suoi  ragazzi di leva sono andati contro una gran quantità di forze ostili al loro paese e mai sono disegnati dalla stampa internazionale secondo il merito che loro spetterebbe. Ed ora sono lì a difendere la propria terra ed i curdi, gli stessi che gli sparavano contro se provavano ad oltrepassare le rive dell’Eufrate.

In questi giorni di combattimenti contro le forze filo-turche  appoggiate dall’esercito regolare turco, si sono opposti come meglio potevano armati di mezzi leggeri contro le divisioni corazzate turche e forze sovrabbondanti. Tutto allo scopo di limitare l’area che le milizie jihadiste  filo-turche si stanno accaparrando. Durante queste operazioni l’esercito siriano ha subito perdite e  da qui i prigionieri rilasciati oggi dopo una lunga mediazione russa.

Molti si sono chiesti – con l’esercito siriano (SAA) presente con scarse forze e mal armato (per i tanti fronti nel paese e per le forze ridotte dopo 8 anni di guerra) – perché i russi non sono intervenuti per appoggiare SAA. Questa è una buona risposta: le forze armate russe non possono affrontare una battaglia diretta contra la Turchia che vanificherebbe tutti gli sforzi diplomatici fatti e le conquiste ottenute con un  sapiente mix di diplomazia e interventi militari.
Questo episodio dimostra che ci si muove e dolorosamente a volte la soluzione migliore non è intervenire direttamente, quando sicuramente si vorrebbe. Neanche gli USA lo hanno fatto ma non dimentichiamo chi è restato.

Comunque ora godiamoci questo momento. Tra le tante brutte notizie di questi giorni una che rende contenti:  vedere quei ragazzi tornare con i propri commilitoni e con persone amiche conforta. Speriamo che in questo senso e con uno spirito diverso  sia possibile nei prossimi giorni cessare la voce delle armi e cominciare a costruire in prospettiva della pace.

patrizio ricci by @vietatoparlare

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Siria/curdi: i mezzi USA in ritirata colpiti dal lancio di frutta e verdura da parte della popolazione esasperata (video)

Circa 100 veicoli corazzati con truppe americane sono arrivati ​​ora in Iraq. Secondo i resoconti dei media locali, il convoglio ha attraversato il checkpoint di Simelka ed è partito per la città irachena di Dahuk. I militari statunitensi saranno schierati presso la base aerea di Ain al-Assad nella provincia irachena di Al Anbar.

Durante il percorso il convoglio non è stato festeggiato da ali di folla festanti. Nel video vediamo che la popolazione protesta ed è solo uno dei tanti che mostra la colonna corazzata USA  lasciare in solitudine un paese in cui la propria presenza ha solo complicato le cose, lasciandolo peggio di prima.

Certo, non è colpa dei soldati che se ne stanno andando per ciò che è successo. Ma bisogna capire certi sentimenti: dalla guerra del Vietnam a qualunque guerra americana successiva, si è sempre acceso un forte risentimento verso gli Stati Uniti da parte delle popolazioni locali. Il problema è che il governo degli Stati Uniti continua a scommettere sull’avvio di una guerra che finisce sempre per essere una sofferenza per tutti.

Perciò se fossi in uno di quei camion, non mi sentirei attaccato personalmente , capirei che la loro rabbia è per la situazione, non per la persona.

Non è niente di personale che porta le persone a lanciare la frutta contro i veicoli americani blindati. Queste persone stanno affrontando qualcosa di inimmaginabile ai più e sono incazzate. Per quando riguarda i curdi però, è anche vero però che se la tua resistenza ed il tuo combattere dipende totalmente ed illegittimamente dal dal sostegno degli stranieri e questo tuo comportamento sottrae ad altri energia vitale che non ti appartiene. Allora non hai altro che te stesso da incolpare quando quello straniero cambia idea a causa dei propri interessi nazionali.

A maggior ragione se – appunto – quegli ‘stranieri’ hanno fatto sempre così da tempi ‘immemorabili’… cos’altro ti aspettavi? E anche nell’ipotesi che il tuo desiderio fosse stato soddisfatto: a chi avresti tolto la speranza che tu oggi reclami?

 

Ed ecco i curdi con chi hanno a che fare…

Turchi che derubano delle poche cose una famiglia ma molto più gravosa sarebbe stata la condizione della stragrande maggioranza della popolazione siriana se le ambizioni dei curdi avessero avuto successo.

Siria – Mons Tobji: ”dove non arrivano le bombe arrivano le sanzioni. Uccidono anche quelle, sapete?…”

Siria, cristiani nel limbo

di Gian Micalessin – Insideover – fonte Ora Pro Siria

Monsignor Joseph Tobji ci riconosce, ci sorride da lontano, alza il bastone pastorale, indica la facciata della cattedrale. “Guardate com’è cambiata”. Alziamo lo sguardo. Per anni la cattedrale maronita di Sant’Elia è stata un simbolo della guerra di Aleppo. Le granate l’avevano colpita, trafitta, martoriata. Nel 2012, quando ci venimmo per la prima volta, i ribelli erano un centinaio di metri poco più indietro. Per avvicinarsi, bussare e riuscire ad entrare bisognava sfidare i loro colpi di mortaio.

Per sei lunghi anni nulla era cambiato. Ora invece la vecchia cattedrale annerita dal fumo degli incendi, morsicata dalle granate è nascosta da un intrico di ponteggi e impalcature. Da qualche settimana si è trasformata in un enorme cantiere a cielo aperto. Lì tra cavi e tramezzi si arrampicano come formiche operose restauratori e muratori. Il vescovo maronita ride felice. Rievoca i brutti tempi andati. “Questa cattedrale un tempo era sulla linea del fuoco. Una volta i ribelli sono arrivati fino al portone d’ingresso, un’altra un obice ha sfondato la camera da letto di un nostro vicino e l’ha fatto a pezzi nel suo letto… dopo sette anni è ancora così non l’hanno neppure rimessa a posto” – ricorda il vescovo indicando la voragine al secondo piano del palazzo alla destra della cattedrale.

“Nel 2012 le prime granate avevano colpito la cupola lassù, poi un paio di missili erano caduti sul tetto. Un giorno mentre stavo lavorando nel mio ufficio nella torre una gragnuola di colpi ha fatto tremare tutto l’edificio. Quel giorno ho detto basta… io chiudo. Ora la stiamo ricostruendo, fra un po’ la riapriremo ai fedeli. Un po’ di soldi li abbiamo raccolti qui, un po’ sono arrivati dall’estero e questo ci ha consentito di dare il via ai lavori. Ma fondamentale è anche il lavoro di un gruppo architetti italiani che ci aiutano a rimettere insieme i pezzi”.

Monsignor Tobji si blocca. Alza la mano.

“Ma attenzione ricostruire la chiesa non basta. Qui ad Aleppo Ovest non c’è un metro quadrato che sia rimasto sano, se non s’incomincia a rimettere in piedi anche il resto la gente non torna”.

Dice gente, ma pensa soprattutto ai cristiani, alla tribù perduta di questa città. Aleppo un tempo era il terzo centro cristiano del Medioriente, ospitava tra le sue mura oltre 200mila fedeli. Oggi oltre la metà ha abbandonato le proprie case, vive all’estero e si guarda bene dal tornare.

“Perché mai dovrebbero tornare? Come possiamo chiedergli di farlo se non possiamo offrirgli un lavoro, se non siamo in grado di garantirgli il sostentamento delle loro famiglie” – sospira rassegnato il monsignore. “Molti dicono che la guerra è finita, ma non è vero. Qui nel centro di Aleppo la situazione è tranquilla, ma ai confini sud occidentali della città le bombe e i missili dei ribelli jihadisti di Idlib continuano ad uccidere. Perché la comunità internazionale non dice niente? Perché l’Europa non fa nulla?”.

Ad ogni parola, ad ogni frase la preoccupazione per il presente sembra scacciare la felicità per l’imminente rinascita della cattedrale.

“Voi in Europa forse ve lo siete dimenticati, ma dove non arrivano le bombe arrivano le sanzioni. Uccidono anche quelle, sapete? Pensate ai bambini, ai malati, agli anziani che non trovano cibo e medicine. Oggi da questo punto di vista è anche peggio di prima. Quando si sparava t’accontentavi di sopravvivere, di tutto il resto non t’importava. Oggi invece i cristiani tornano qui, cercano di capire se è possibile tornare a casa, ma scoprono che non si trova la benzina, che spesso non c’è il gas per il riscaldamento e che nelle farmacie mancano delle medicine indispensabili. E allora dopo aver dato un occhiata rimettono i lucchetti alle case e se ne tornano all’estero. Alcuni fedeli rassegnati se ne sono andati negli ultimi mesi dopo aver resistito per tutti gli anni dell’assedio. Insomma la guerra forse è finita, ma la situazione per noi cristiani non è migliorata. Sotto le bombe avevamo paura ma conservavamo la speranza. Oggi molti di noi hanno perso anche quella”.

Reportage di Gian Micalessin
Riprese e montaggio Roberto Di Matteo
Insideover – fonte Ora Pro Siria

Gli Stati Uniti rubano il petrolio della Siria: ArabiToday pubblica la rotta delle petroliere americane

Mentre i militanti curdi delle Forze Democratiche Siriane (SDF) salvano i terroristi dello Stato Islamico dall’ex sacca di Hajin, gli Stati Uniti rubano petrolio dai più grandi giacimenti siriani di Deir Ezzor.

di Valentin Milikov

Le ultime prove sono state pubblicate dai media arabi: l’Occidente esporta illegalmente l’oro nero siriano, ricevendo enormi dividendi e sottraendo ingenti risorse all’economia siriana.

Precisamente l’ultima edizione mediorientale di ArabiToday ha pubblicato il 12 febbraio un video che dimostra chiaramente la portata dell’esportazione illegale di petrolio dalla Siria. Il video è stato realizzato da un drone americano che presumibilmente controllava il movimento della colonna dall’alto. I media sono stati trasmessi da una fonte curda senza nome dell’alleanza SDF. Arabi Today ha riferito che l’UAV ha ripreso solo 30 cisterne, per un totale di 250-300 autobotti che facevano parte dell’autocolonna.

Il greggio viene trasportato con i camion dal giacimento di Al-Omar. Questo giacimento si trova nella provincia di Deir-ez-Zor, a nord della provincia di Aleppo ed è controllato dai militanti dell’Esercito Siriano Libero (FSA).

Questo fatto indica direttamente che sono gli Stati Uniti, e non le forze armate curde, che sono coinvolti nel furto di petrolio e nella successiva vendita.

Sono stati i gruppi dell’FSA a sconfiggere i curdi da Afrin l’anno scorso, e ora si stanno preparando a liberare tutte le zone di confine nel nord della Siria dall’SDF.

Il video pubblicato da ArabiToday mostra il passaggio di una colonna lungo l’autostrada Al-Omar – Al Buseirah.

Il controllo sul campo di Al-Omar è stato perso dalle truppe siriane nel 2012. Per diversi anni, i terroristi dello “Stato islamico” che hanno sequestrato questa zona hanno tratto profitto da enormi entrate derivate dall’estrazione illegale e dal contrabbando di petrolio siriano.

Tuttavia, anche quando i curdi e gli americani sono venuti a sostituire i terroristi dell’ISIS a East Deir ez-Zor, la rapina dello stato siriano non si è fermata. Secondo la fonte ArabiToday nella SDF, le colonne di autocisterne con il petrolio rubato partono ogni 10 giorni.

Le autocolonne attraversano l’Eufrate su un ponte vicino al villaggio di Karakozak, nella provincia di Aleppo, e proseguono poi in direzione Manbij controllato dalla SDF.

Proseguendo, la colonna viene inviata nel territorio catturato dalle fazioni dall’esercito libero siriano (FSA) – ovvero al villaggio di Jerablus. Quindi, secondo una fonte curda, le autocisterne tornano nella zona di Al Omar.

L’intelligence russa nell’ottobre 2018 ha già denunciato una grande colonna di autobotti vicino al villaggio di Umm Adaset-Farat, situato al confine delle zone di controllo delle forze armate curde e dell’esercito siriano libero.

Chi ne beneficia

Nel 2015-2017, il petrolio è diventato, secondo gli analisti americani, la più grande fonte di reddito per l’ISIS. È noto che al culmine del suo potere, l’autoproclamato “Califfato” – secondo varie stime – ha lucrato dalla vendita di petrolio, fino a 5 milioni di dollari al giorno. Ad esempio, nel 2015, gli esperti hanno stimato entrate per l’ISIS a 3 milioni al giorno – e questa è la stima più prudente.

Nonostante il successivo declino a seguito delle riuscite operazioni militari delle truppe siriane e delle forze aeree russe, il reddito dei terroristi derivanti dal contrabbando di petrolio era di $ 1-2 milioni al giorno.

Nel settembre 2017, quando l’esercito arabo siriano, con il supporto dell’aviazione russa, ha iniziato a liberare la provincia di Deir ez-Zor, anche le forze armate curde hanno cominciato a muoversi in fretta verso quest’area. Mentre le forze governative erano impegnate in aspre battaglie contro l’ISIS, le “Forze Democratiche Siriane”, mediate dalle forze militari e di sicurezza statunitensi, negoziavano semplicemente con i terroristi, e di questo fatto esistono ampie prove.

Il giacimento petrolifero Al-Omar, come molti altri campi, è stato trasferito senza combattere dopo le trattative tra l’ISIS e rappresentanti delle forze statunitensi. Inoltre, i militanti dello “Stato islamico”, a guardia dei giacimenti petroliferi, sono stati integrati sotto la bandiera delle “Forze Democratiche siriane” (SDF).

Successivamente, le forze statunitensi costruirono una base militare nelle immediate vicinanze di Al-Omar, come riportato riconosciuto da rappresentanti delle unità armate curde stesse nella primavera del 2018.

L’agenzia di stampa federale siriana ha più volte riferito di collusione tra Stati Uniti, terroristi dell’ISIS e curdi – ad esempio, nel settembre 2017 si è appreso che gli Stati Uniti ei curdi concordavano con i terroristi sul trasferimento del grande campo di Tabia, dove si trovava l’impianto Conoco. In quell’occasione un prigioniere appartenente all’ISIS ha detto che è stato loro ordinato di non distruggere gli edifici della fabbrica e in ogni caso di aprire il fuoco sui curdi. Questa informazione è stata confermata in un film del giornalista libanese Firas Shufi.

Secondo modalità simili, i curdi sono entrati nei campi di Al-Ezba e di Al-Jafra. Nello stesso tempo, le strutture per la produzione di petrolio, su cui l’esercito governativo riprese il controllo, furono bombardate dalla coalizione internazionale per impedire la produzione di petrolio e costringere Damasco a spendere soldi per ripristinanee la produzione.

Ora tutti gli stessi terroristi dell’ISIS – ma sotto la supervisione diretta dei curdi e degli Stati Uniti – continuano a rubare il petrolio siriano. Così, nel 2018, è stata aperta la strada del trasporto dell’ “oro nero” attraverso il confine tra Siria e Iraq. Il passaggio di convogli di autobotti on il petrolio è stato ripetutamente registrato sulla strada da Al-Omar alla base militare degli Stati Uniti vicino al villaggio di Al-Shaddadi.

Il petrolio è stato esportato attraverso la “zona grigia” nell’area irachena di Sinjar – ed è noto che anche le bande dello Stato islamico avevano la loro parte, anche se presumibilmente avevano perso il controllo diretto sui campi.

Per quanto riguarda le entrate che gli Stati Uniti e i loro alleati ricevono dal pompaggio illegale di petrolio – qui possiamo parlare di somme senza precedenti. Secondo gli analisti e gli esperti dell’industria petrolifera, in Siria, ogni investitore legale ha ricevuto negli anni precedenti alla guerra siriana solo il 30% dei profitti derivanti dall’estrazione e dalla vendita di carburante – l’importo residuo andava al governo della SAR. Tuttavia, nel caso dell’ ISIS, per i curdi e gli Stati Uniti, il profitto al momento del 100% .

Il petrolio è venduto letteralmente per pochi centesimi

In effetti, il petrolio era uno degli obiettivi degli Stati Uniti in Siria, soprattutto perché è venduto letteralmente per pochi centesimi. In questo caso, sia i compratori che i venditori di petrolio ottengono benefici enormi, da entrambe le parti.
Il petrolio viene venduto due volte al di sotto del suo valore di mercato – chi rifiuterà un tale regalo? Ciò vale anche per i venditori, poiché consente loro di ricevere un sacco di soldi, ma allo stesso tempo scavalcano le autorità centrali, pur consentendo loro di finanziare i propri progetti.

Quindi, in termini di benefici, questa impresa è assolutamente incredibile, e capisco che molte persone hanno guadagnato enormi somme di denaro su questo .

I motivi economici dell’intervento in Siria si sono sviluppati parallelamente alle motivazioni geopolitiche, risolti dagli Stati Uniti e da altri paesi occidentali, provocando artificialmente una crisi nel paese.

Coloro che sono impegnati nella creazione artificiale di questo tipo di crisi, sfruttano ogni opportunità per estrarre tutti i possibili dividendi durante la crisi: politica, economica e così via. Quando in qualche modo hanno l’opportunità di fare denaro su una crisi vendendo petrolio, lo fanno.

Il fatto è che gli americani vogliono ancora avere accesso diretto alle risorse petrolifere e del gas del Medio Oriente, inclusa la Siria. Qui il fattore curdo è importante, che diligentemente si gonfia con i sogni di un “Kurdistan unito indipendente” – questo fa anche parte della strategia per le compagnie petrolifere per accedere ai campi.

Quando lo “Stato islamico” cominciò a indebolirsi a seguito di operazioni di successo delle truppe governative con il supporto delle forze aerospaziali russe, piuttosto rapidamente ci furono persone che presero questo affare illegale nelle loro mani. Nell’insieme  piuttosto caotico di gruppi armati curdi, c’è chi si occupa solo del controllo dei giacimenti petroliferi e dei canali di vendita del petrolio.

Gli Stati Uniti ricevono grandi profitti dal commercio illegale di petrolio. Nell’ambito dei meccanismi di contrabbando, tale attività, oltre agli alti profitti, è significativamente la più economica. Per gli Stati Uniti, questa prassi è conveniente e rimuove anche la difficoltà di finanziare gruppi armati filoamericani in Siria.

Sono stati gli americani, e non i curdi, che hanno costruito una filiera dal campo di estrazione al compratore finale. Durante questo processo, i singoli dipendenti della comunità di intelligence statunitense ricevono ulteriori redditi derivanti dalla corruzione.

L’America è interessata a “creare il caos in Siria e distruggere l’economia siriana”. Allo stesso tempo, il contrabbando di prodotti petroliferi, portando profitti agli Stati Uniti, abbatte l’economia della Repubblica araba siriana, privando Damasco delle entrate dalla produzione legale.

 

Discorso di Papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti – video

Al Salamò Alaikum! La pace sia con voi!

Ringrazio di cuore Sua Altezza lo Sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan e il Dottor Ahmad Al-Tayyib, Grande Imam di Al-Azhar, per le loro parole. Sono grato al Consiglio degli Anziani per l’incontro che abbiamo poc’anzi avuto, presso la Moschea dello Sceicco Zayed.

Saluto cordialmente anche il Signore Abd Al-Fattah Al-Sisi, Presidente della Repubblica Araba d’Egitto, terra di Al-Azhar. Saluto cordialmente le Autorità civili e religiose e il Corpo diplomatico. Permettetemi anche un grazie sincero per la calorosa accoglienza che tutti hanno riservato a me e alla nostra delegazione.

Ringrazio anche tutte le persone che hanno contribuito a rendere possibile questo viaggio e che hanno lavorato con dedizione, entusiasmo e professionalità per questo evento: gli organizzatori, il personale del Protocollo, quello della Sicurezza e tutti coloro che in diversi modi hanno dato il loro contributo “dietro le quinte”. Un grazie speciale al Sig. Mohamed Abdel Salam, già consigliere del Grande Imam.

Dalla vostra patria mi rivolgo a tutti i Paesi di questa Penisola, ai quali desidero indirizzare il mio più cordiale saluto, con amicizia e stima.

Con animo riconoscente al Signore, nell’ottavo centenario dell’incontro tra San Francesco di Assisi e il sultano al-Malik al-Kāmil, ho accolto l’opportunità di venire qui come credente assetato di pace, come fratello che cerca la pace con i fratelli. Volere la pace, promuovere la pace, essere strumenti di pace: siamo qui per questo.

Il logo di questo viaggio raffigura una colomba con un ramoscello di ulivo. È un’immagine che richiama il racconto del diluvio primordiale, presente in diverse tradizioni religiose. Secondo il racconto biblico, per preservare l’umanità dalla distruzione Dio chiede a Noè di entrare nell’arca con la sua famiglia. Anche noi oggi, nel nome di Dio, per salvaguardare la pace, abbiamo bisogno di entrare insieme, come un’unica famiglia, in un’arca che possa solcare i mari in tempesta del mondo: l’arca della fratellanza.

Il punto di partenza è riconoscere che Dio è all’origine dell’unica famiglia umana. Egli, che è il Creatore di tutto e di tutti, vuole che viviamo da fratelli e sorelle, abitando la casa comune del creato che Egli ci ha donato. Si fonda qui, alle radici della nostra comune umanità, la fratellanza, quale «vocazione contenuta nel disegno creatore di Dio»[1]. Essa ci dice che tutti abbiamo uguale dignità e che nessuno può essere padrone o schiavo degli altri.

Non si può onorare il Creatore senza custodire la sacralità di ogni persona e di ogni vita umana: ciascuno è ugualmente prezioso agli occhi di Dio. Perché Egli non guarda alla famiglia umana con uno sguardo di preferenza che esclude, ma con uno sguardo di benevolenza che include. Pertanto, riconoscere ad ogni essere umano gli stessi diritti è glorificare il Nome di Dio sulla terra. Nel nome di Dio Creatore, dunque, va senza esitazione condannata ogni forma di violenza, perché è una grave profanazione del Nome di Dio utilizzarlo per giustificare l’odio e la violenza contro il fratello. Non esiste violenza che possa essere religiosamente giustificata.

Nemico della fratellanza è l’individualismo, che si traduce nella volontà di affermare sé stessi e il proprio gruppo sopra gli altri. È un’insidia che minaccia tutti gli aspetti della vita, perfino la più alta e innata prerogativa dell’uomo, ossia l’apertura al trascendente e la religiosità. La vera religiosità consiste nell’amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come sé stessi. La condotta religiosa ha dunque bisogno di essere continuamente purificata dalla ricorrente tentazione di giudicare gli altri nemici e avversari. Ciascun credo è chiamato a superare il divario tra amici e nemici, per assumere la prospettiva del Cielo, che abbraccia gli uomini senza privilegi e discriminazioni.

Desidero perciò esprimere apprezzamento per l’impegno di questo Paese nel tollerare e garantire la libertà di culto, fronteggiando l’estremismo e l’odio. Così facendo, mentre si promuove la libertà fondamentale di professare il proprio credo, esigenza intrinseca alla realizzazione stessa dell’uomo, si vigila anche perché la religione non venga strumentalizzata e rischi, ammettendo violenza e terrorismo, di negare sé stessa.

La fratellanza certamente «esprime anche la molteplicità e la differenza che esiste tra i fratelli, pur legati per nascita e aventi la stessa natura e la stessa dignità»[2]. La pluralità religiosa ne è espressione. In tale contesto il giusto atteggiamento non è né l’uniformità forzata, né il sincretismo conciliante: quel che siamo chiamati a fare, da credenti, è impegnarci per la pari dignità di tutti, in nome del Misericordioso che ci ha creati e nel cui nome va cercata la composizione dei contrasti e la fraternità nella diversità. Vorrei qui ribadire la convinzione della Chiesa Cattolica: «Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio»[3].

Vari interrogativi, tuttavia, si impongono: come custodirci a vicenda nell’unica famiglia umana? Come alimentare una fratellanza non teorica, che si traduca in autentica fraternità? Come far prevalere l’inclusione dell’altro sull’esclusione in nome della propria appartenenza? Come, insomma, le religioni possono essere canali di fratellanza anziché barriere di separazione?

La famiglia umana e il coraggio dell’alterità

Se crediamo nell’esistenza della famiglia umana, ne consegue che essa, in quanto tale, va custodita. Come in ogni famiglia, ciò avviene anzitutto mediante un dialogo quotidiano ed effettivo. Esso presuppone la propria identità, cui non bisogna abdicare per compiacere l’altro. Ma al tempo stesso domanda il coraggio dell’alterità[4], che comporta il riconoscimento pieno dell’altro e della sua libertà, e il conseguente impegno a spendermi perché i suoi diritti fondamentali siano affermati sempre, ovunque e da chiunque. Perché senza libertà non si è più figli della famiglia umana, ma schiavi. Tra le libertà vorrei sottolineare quella religiosa. Essa non si limita alla sola libertà di culto, ma vede nell’altro veramente un fratello, un figlio della mia stessa umanità che Dio lascia libero e che pertanto nessuna istituzione umana può forzare, nemmeno in nome suo.

Il dialogo e la preghiera

Il coraggio dell’alterità è l’anima del dialogo, che si basa sulla sincerità delle intenzioni. Il dialogo è infatti compromesso dalla finzione, che accresce la distanza e il sospetto: non si può proclamare la fratellanza e poi agire in senso opposto. Secondo uno scrittore moderno, «chi mente a sé stesso e ascolta le proprie menzogne, arriva al punto di non poter più distinguere la verità, né dentro di sé, né intorno a sé, e così comincia a non avere più stima né di se stesso, né degli altri»[5].

In tutto ciò la preghiera è imprescindibile: essa, mentre incarna il coraggio dell’alterità nei riguardi di Dio, nella sincerità dell’intenzione, purifica il cuore dal ripiegamento su di sé. La preghiera fatta col cuore è ricostituente di fraternità. Perciò, «quanto al futuro del dialogo interreligioso, la prima cosa che dobbiamo fare è pregare. E pregare gli uni per gli altri: siamo fratelli! Senza il Signore, nulla è possibile; con Lui, tutto lo diventa! Possa la nostra preghiera – ognuno secondo la propria tradizione – aderire pienamente alla volontà di Dio, il quale desidera che tutti gli uomini si riconoscano fratelli e vivano come tali, formando la grande famiglia umana nell’armonia delle diversità»[6].

Non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro. Le religioni, in particolare, non possono rinunciare al compito urgente di costruire ponti fra i popoli e le culture. È giunto il tempo in cui le religioni si spendano più attivamente, con coraggio e audacia, senza infingimenti, per aiutare la famiglia umana a maturare la capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace.

L’educazione e la giustizia

Torniamo così all’immagine iniziale della colomba della pace. Anche la pace, per spiccare il volo, ha bisogno di ali che la sostengano. Le ali dell’educazione e della giustizia.

L’educazione – in latino indica l’estrarre, il tirare fuori – è portare alla luce le risorse preziose dell’animo. È confortante constatare come in questo Paese non si investa solo sull’estrazione delle risorse della terra, ma anche su quelle del cuore, sull’educazione dei giovani. È un impegno che mi auguro prosegua e si diffonda altrove. Anche l’educazione avviene nella relazione, nella reciprocità. Alla celebre massima antica “conosci te stesso” dobbiamo affiancare “conosci il fratello”: la sua storia, la sua cultura e la sua fede, perché non c’è conoscenza vera di sé senza l’altro. Da uomini, e ancor più da fratelli, ricordiamoci a vicenda che niente di ciò che è umano ci può rimanere estraneo[7]. È importante per l’avvenire formare identità aperte, capaci di vincere la tentazione di ripiegarsi su di sé e irrigidirsi.

Investire sulla cultura favorisce una decrescita dell’odio e una crescita della civiltà e della prosperità. Educazione e violenza sono inversamente proporzionali. Gli istituti cattolici – ben apprezzati anche in questo Paese e nella regione – promuovono tale educazione alla pace e alla conoscenza reciproca per prevenire la violenza.

I giovani, spesso circondati da messaggi negativi e fake news, hanno bisogno di imparare a non cedere alle seduzioni del materialismo, dell’odio e dei pregiudizi; imparare a reagire all’ingiustizia e anche alle dolorose esperienze del passato; imparare a difendere i diritti degli altri con lo stesso vigore con cui difendono i propri diritti. Saranno essi, un giorno, a giudicarci: bene, se avremo dato loro basi solide per creare nuovi incontri di civiltà; male, se avremo lasciato loro solo dei miraggi e la desolata prospettiva di nefasti scontri di inciviltà.

La giustizia è la seconda ala della pace, la quale spesso non è compromessa da singoli episodi, ma è lentamente divorata dal cancro dell’ingiustizia.

Non si può, dunque, credere in Dio e non cercare di vivere la giustizia con tutti, secondo la regola d’oro: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti» (Mt 7,12).

Pace e giustizia sono inseparabili! Il profeta Isaia dice: «Praticare la giustizia darà pace» (32,17). La pace muore quando divorzia dalla giustizia, ma la giustizia risulta falsa se non è universale. Una giustizia indirizzata solo ai familiari, ai compatrioti, ai credenti della stessa fede è una giustizia zoppicante, è un’ingiustizia mascherata!

Le religioni hanno anche il compito di ricordare che l’avidità del profitto rende il cuore inerte e che le leggi dell’attuale mercato, esigendo tutto e subito, non aiutano l’incontro, il dialogo, la famiglia, dimensioni essenziali della vita che necessitano di tempo e pazienza. Le religioni siano voce degli ultimi, che non sono statistiche ma fratelli, e stiano dalla parte dei poveri; veglino come sentinelle di fraternità nella notte dei conflitti, siano richiami vigili perché l’umanità non chiuda gli occhi di fronte alle ingiustizie e non si rassegni mai ai troppi drammi del mondo.

Il deserto che fiorisce

Dopo aver parlato della fratellanza come arca di pace, vorrei ora inspirarmi a una seconda immagine, quella del deserto, che ci avvolge.

Qui, in pochi anni, con lungimiranza e saggezza, il deserto è stato trasformato in un luogo prospero e ospitale; il deserto è diventato, da ostacolo impervio e inaccessibile, luogo di incontro tra culture e religioni. Qui il deserto è fiorito, non solo per alcuni giorni all’anno, ma per molti anni a venire. Questo Paese, nel quale sabbia e grattacieli si incontrano, continua a essere un importante crocevia tra Occidente e Oriente, tra Nord e Sud del pianeta, un luogo di sviluppo, dove spazi un tempo inospitali riservano posti di lavoro a persone di varie nazioni.

Anche lo sviluppo, tuttavia, ha i suoi avversari. E se nemico della fratellanza era l’individualismo, vorrei additare quale ostacolo allo sviluppo l’indifferenza, che finisce per convertire le realtà fiorenti in lande deserte. Infatti, uno sviluppo puramente utilitaristico non dà progresso reale e duraturo. Solo uno sviluppo integrale e coeso dispone un futuro degno dell’uomo. L’indifferenza impedisce di vedere la comunità umana oltre i guadagni e il fratello al di là del lavoro che svolge. L’indifferenza, infatti, non guarda al domani; non bada al futuro del creato, non ha cura della dignità del forestiero e dell’avvenire dei bambini.

In questo contesto mi rallegro che proprio qui ad Abu Dhabi, nel novembre scorso, abbia avuto luogo il primo Forum dell’Alleanza interreligiosa per Comunità più sicure, sul tema della dignità del bambino nell’era digitale. Questo evento ha raccolto il messaggio lanciato, un anno prima, a Roma nel Congresso internazionale sullo stesso tema, a cui avevo dato tutto il mio appoggio ed incoraggiamento. Ringrazio quindi tutti i leader che si impegnano in questo campo e assicuro il sostegno, la solidarietà e la partecipazione mia e della Chiesa Cattolica a questa causa importantissima della protezione dei minori in tutte le sue espressioni.

Qui, nel deserto, si è aperta una via di sviluppo feconda che, a partire dal lavoro, offre speranze a molte persone di vari popoli, culture e credo. Tra loro, anche molti cristiani, la cui presenza nella regione risale addietro nei secoli, hanno trovato opportunità e portato un contributo significativo alla crescita e al benessere del Paese. Oltre alle capacità professionali, vi recano la genuinità della loro fede. Il rispetto e la tolleranza che incontrano, così come i necessari luoghi di culto dove pregano, permettono loro quella maturazione spirituale che va poi a beneficio dell’intera società. Incoraggio a proseguire su questa strada, affinché quanti qui vivono o sono di passaggio conservino non solo l’immagine delle grandi opere innalzate nel deserto, ma di una nazione che include e abbraccia tutti.

È con questo spirito che, non solo qui, ma in tutta l’amata e nevralgica regione mediorientale, auspico opportunità concrete di incontro: società dove persone di diverse religioni abbiano il medesimo diritto di cittadinanza e dove alla sola violenza, in ogni sua forma, sia tolto tale diritto.

Una convivenza fraterna, fondata sull’educazione e sulla giustizia; uno sviluppo umano, edificato sull’inclusione accogliente e sui diritti di tutti: questi sono semi di pace, che le religioni sono chiamate a far germogliare. Ad esse, forse come mai in passato, spetta, in questo delicato frangente storico, un compito non più rimandabile: contribuire attivamente a smilitarizzare il cuore dell’uomo. La corsa agli armamenti, l’estensione delle proprie zone di influenza, le politiche aggressive a discapito degli altri non porteranno mai stabilità. La guerra non sa creare altro che miseria, le armi nient’altro che morte!

La fratellanza umana esige da noi, rappresentanti delle religioni, il dovere di bandire ogni sfumatura di approvazione dalla parola guerra. Restituiamola alla sua miserevole crudezza. Sotto i nostri occhi sono le sue nefaste conseguenze. Penso in particolare allo Yemen, alla Siria, all’Iraq e alla Libia. Insieme, fratelli nell’unica famiglia umana voluta da Dio, impegniamoci contro la logica della potenza armata, contro la monetizzazione delle relazioni, l’armamento dei confini, l’innalzamento di muri, l’imbavagliamento dei poveri; a tutto questo opponiamo la forza dolce della preghiera e l’impegno quotidiano nel dialogo. Il nostro essere insieme oggi sia un messaggio di fiducia, un incoraggiamento a tutti gli uomini di buona volontà, perché non si arrendano ai diluvi della violenza e alla desertificazione dell’altruismo. Dio sta con l’uomo che cerca la pace. E dal cielo benedice ogni passo che, su questa strada, si compie sulla terra.


[1] Benedetto XVIDiscorso a nuovi Ambasciatori presso la Santa Sede, 16 dicembre 2010.

[2] Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 1° gennaio 2015, 2.

[3] Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 5.

[4] Cfr Discorso ai partecipanti alla Conferenza Internazionale per la PaceAl-Azhar Conference Centre, Il Cairo, 28 aprile 2017.

[5] F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, II, 2, Milano 2012, 60.

[6] Udienza Generale interreligiosa, 28 ottobre 2015.

[7] Cfr. Terenzio, Heautontimorumenos I, 1, 25.