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Da CHERNOBYL, UCRAINA – A più di trent’anni dalla catastrofe nucleare che l’ha resa famosa, la Zona di esclusione di Chernobyl è oggi meta di turismo estremo, che non raggiunge ancora quello di massa, ma poco ci manca. Una destinazione insolita, per non dire pericolosa, considerando la radioattività che continua ad avvolgere la Zona. Eppure la vita in queste città-fantasma continua.
Quando il lavoro non manca
Il territorio, un’area di trenta chilometri che circonda la centrale nucleare conosciuta come la “Zona di esclusione” (o semplicemente “Zona”), è contaminato in modo diseguale. Punti di massima contaminazione sono stati determinati non solo dal vento, che ha trasportato la polvere radioattiva, ma anche dai numerosi interramenti di vario materiale e attrezzature utilizzate dai liquidatori. Una delle località più colpite è la Foresta Rossa, un bosco di pini che in seguito alle radiazioni diventò appunto rosso e in cui, ancora oggi, il livello di radioattività supera la norma di sicurezza. Le autorità preposte alla Zona fanno molta attenzione nel proteggere questi punti da turisti e cacciatori di rottami, ma ammettono che molti di questi luoghi rimangono non mappati e ancora sconosciuti. La Zona di esclusione è tuttavia controllata da un corpo speciale della polizia locale, creato appositamente dal Ministero degli Interni ucraino, che ne sorveglia sia i confini interni che quelli con la Bielorussia.
Al contrario di quello che si pensa, la Zona non è completamente disabitata, sebbene la vita presente sembra essersi fermata ai tempi dell’Unione Sovietica, o più precisamente al momento del suo crollo. Nella città di Chernobyl, che dista tredici chilometri dalla centrale “Vladimir Lenin”, oggi abitano all’incirca duemila persone, tutti addetti che lavorano all’interno della Zona: guardiani, poliziotti, pompieri, medici, guardie forestali e tecnici che tengono sott’occhio il nuovo sarcofago. Ognuno vi è ammesso a turno e per periodi di tempo prestabiliti, variabili da un giorno a tre settimane a seconda del tipo di lavoro effettuato. La durata dei turni, inoltre, è strettamente correlata allo stato di salute della persona, che viene monitorata quotidianamente e in maniera precisa da medici specializzati e dosimetristi. Abitano tutti nel centro deserto di questa città rimasta intatta dal 1986, anno in cui si contavano ben tredicimila anime, e tornano regolarmente nelle rispettive case e famiglie, fuori dalla Zona (a Slavutych e dintorni) per liberarsi non solo dalle eventuali radiazioni ma anche da quel clima depresso e nostalgico che avvolge la desolata città.
Vivere a Chernobyl oggi attira molti giovani o comunque disoccupati e noncuranti: gli stipendi sono elevati, tanto che si parla di somme che equivalgono ad almeno il triplo di uno stipendio medio ucraino. Il governo ucraino ha definito il territorio adiacente, chiamato “prichernobylski”, abbastanza sicuro per poterci abitare, ma i confini di quest’area non sono ancora ben definiti e la sicurezza non è mai abbastanza. Guide ed esperti dicono che la Zona di esclusione potrà ripopolarsi e tornare “sana” non prima del 2080.
L’accesso alla città di Chernobyl e a quella adiacente di Pripjat’ è comunque possibile per brevi visite, sebbene sconsigliate a bambini e minorenni per motivi di salute. Vi sono numerosi tour operator che organizzano viaggi organizzati da Kiev, costosi ma che senza dubbio aiutano l’economia locale, di una durata massima di quattro giorni, duranti i quali ci si sottopone ai controlli della radioattività giornalmente. Si possono avere livelli di radioattività normali, poi si fa un passo da qualche altra parte ed il contatore Geiger rileva una radioattività 100 volte superiore al limite di sicurezza, quindi il rischio c’è.
Cosa resta di Pripjat’
Pripjat’ dista soli tre chilometri dalla centrale nucleare di Chernobyl. Fondata nel 1970 e costruita in tempi brevissimi per ospitare i lavoratori della centrale con le rispettive famiglie, ebbe uno sviluppo vertiginoso. Al momento dell’evacuazione, nell’aprile del 1986, contava infatti 48.000 abitanti. Moderna e funzionale, ospitava un ospedale, centri commerciali, due grandi alberghi, numerosi caffè, cinema, teatro, centri sportivi, tra cui uno stadio e una piscina coperta, che rimase attiva per il personale fino al 2000, anno in cui il presidente ucraino Leonid Kučma ordinò l’arresto definitivo di tutti i reattori. Da non dimenticare il parco delle attrazioni mai inaugurato, uno dei luoghi più visitati e fotografati e ad elevata radioattività.
Oggi, qualsiasi attività civile o commerciale, così come la semplice residenza, è legalmente proibita. Le strade sono praticabili, ma inutilizzate dal 1986, e spesso ostacolate dalla vegetazione che, senza l’intervento dell’uomo, ha potuto espandersi e conquistare il territorio immacolato, accaparrandosi qualsiasi spazio libero disponibile. Pripjat’ è quindi interamente disabitata se non si tiene conto dei cani di strada (oggi tutti monitorati e dotati di microchip) e dei due guardiani che si danno il cambio al posto di blocco, situato a pochi passi dalla stazione dei treni in rovina. Le due guardie, appartenenti al corpo speciale di polizia locale, lavorano a turno per monitorare l’entrata in città dei gruppi turistici organizzati e per sorvegliare eventuali borseggiatori, detti stalkers, che ancora oggi cercano di entrare abusivamente nella Zona. Da alcuni anni il problema di “stalkerismo”, sebbene non sia scomparso del tutto, sembra essersi attenuato: il territorio si è ricoperto di foreste e vegetazione naturale, molti edifici sono crollati e il processo di distruzione continua. Inoltre, le autorità sorvegliano con molta più fermezza la Zona, tanto che ora l’entrata senza permesso viene punita con multe salatissime. Tuttavia, gli stalkers continuano ad esistere e molti si intrufolano fra i turisti curiosi, che cercano di portarsi a casa un souvenir autentico (e bello radioattivo) dalla Zona.
L’articolo UCRAINA: Cosa resta di Chernobyl, tra lavoro e turismo estremo sembra essere il primo su East Journal.
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