by Oleksiy Bondarenko fonte Est Journal
“Terrorista” è l’appellativo che sempre più prepotentemente sta entrando nel linguaggio politico e mediatico dell’Ucraina. Un termine che negli ultimi anni ha assunto contorni sempre più sfumati e indefiniti nell’immaginario comune e che ha giustificato spesso risposte sorprendentemente risolute da parte dei governi. L’operazione anti-terrorismo (OAT) lanciata da Kiev per “annientare”, come ha più volte dichiarato il Ministro degli Interni Avakov, le sacche di resistenza armata nelle regioni orientali, sta proseguendo ormai da metà aprile, senza però giungere ad un esito risolutivo.
Il 9 Maggio di Mariupol. Un simbolico punto di svolta.
Passati in secondo piano, i morti di Mariupol e gli scontri violenti nella città portuale hanno un valore molto importante nell’economia del conflitto trilaterale che coinvolge l’esercito, le milizie dei ribelli e la popolazione delle regioni sud-orientali dell’Ucraina. La “giornata della Vittoria”, anniversario della capitolazione della Germania nazista, festività ancora molto sentita in Ucraina, si è trasformata in pochi istanti in un giorno di guerra, con almeno 11 persone rimaste uccise e un mezzo centinaio di feriti. L’assenza dei risultati dell’indagine ufficiale (cosi come per la strage di Odessa), ammesso che tali risultati possano essere considerati credibili, non permette di dire con esattezza come siano andate effettivamente le cose.
Le versioni sono principalmente due. . Da una parte quella sostenuta da Kiev, che evidenzia come l’esercito sia intervenuto reagendo ad una serie di provocazioni da parte dei terroristi che, armati, avrebbero tentato di occupare la stazione di polizia per impossessarsi delle armi all’interno dell’edificio.
Dall’altra c’è la versione contrapposta, sostenuta dai ribelli e corroborata da numerosi testimoni. Questa seconda versione evidenzia come la polizia di Mariupol si sia ammutinata al nuovo capitano, nominato a inizio maggio da Kiev, il quale aveva ordinato di contrapporsi con la forza alla folla che stava manifestando davanti al palazzo governativo. Pare che l’esercito (accompagnato da alcuni estremisti) sia intervenuto proprio per sedare la rivolta della polizia ed impedire che i ribelli si impadronissero della sede del Ministero degli Interni della città. Comunque siano andate le cose, il risultato dell’intervento dell’esercito è stato un bagno di sangue che ha coinvolto soprattutto civili.
Mariupol rappresenta un altro capitolo dimenticato della crisi ucraina che, però, ci permette di comprendere meglio il livello di contrapposizione che si sta creando nel Donbass. Risulta sempre più difficile non prendere in considerazione la popolazione della regione come uno degli attori in quello che si fatica ancora a definire come “guerra civile”, ma che sempre più chiaramente sta assumendo questi contorni.
Sloviansk e Lugansk. L’intensificazione dell’operazione anti-terrorismo.
Un’intensa accelerazione nelle operazioni militari si è avuta nei giorni immediatamente successivi alle elezioni del nuovo presidente. Poroshenko ha ripetutamente promesso di risolvere la situazione nel Donbass nel giro di qualche settimana, ma a differenza di quello che si può credere, la capacità di Kiev di riportare stabilità e ordine nel sud-est del paese sembra sempre più inversamente proporzionale all’intensificazione dell’attività militare. L’aumento crescente di morti tra i civili e l’utilizzo dell’aviazione e di armi sempre più pesanti e sofisticate hanno contribuito nelle ultime settimane ad alienare in maniera sempre più concreta la popolazione locale. A Sloviansk, ad esempio, numerosi mortai sono caduti in pieno giorno in un quartiere residenziale ferendo a morte almeno tre persone, mentre secondo Russia Today,, sempre durante la stessa operazione è stato colpito anche un asilo.
A Lugansk invece, nonostante le smentite di Kiev, ci sono numerose evidenze dell’uso dell’aviazione nelle azioni militari svolte contro i “terroristi”. Un missile ha colpito la zona adiacente ad un palazzo governativo occupato dai ribelli, lasciando a terra almeno 8 passanti uccisi, mentre a Krasnyi Lyman durante uno scontro tra ribelli e Guardia Nazionale l’ospedale locale è stato colpito da numerosi mortai, facendo almeno una ventina di vittime.
Civili, anche loro terroristi?
L’operazione anti terrorismo, destinata inizialmente a durare pochi giorni, si sta protraendo ormai da quasi due mesi. L’efficacia dello scontro armato con i ribelli è sempre più limitata, dato che né l’esercito, nè i miliziani riescono a mantenere a lungo il controllo su una fetta di territorio consistente, mentre la popolazione sembra nel limbo, sempre più spaventata e diffidente nei confronti di Kiev, o almeno della sua capacità di riportare almeno un’apparenza di ordine.
Come sottolinea Hennadiy Moskal, deputato del partito Patria e in passato molto vicino a Viktor Yushenko, il risultato paradossale dell’OAT è stato quello di avvicinare la popolazione ai ribelli. Molti funzionari locali, comprese le forze dell’ordine, “sono passati dall’altra parte, sentendosi abbandonati, o peggio, trattati come terroristi” da Kiev.
Per ora nessuna condanna.
Washington e Bruxelles, intanto, continuano a spalleggiare Kiev, e mentre per l’inaugurazione di Poroshenko sono attesi numerosi funzionari delle cancellerie occidentali, nessuna condanna ufficiale (a parte una blanda preoccupazione espressa da rappresentanti OSCE e ONU) è arrivata sul crescente coinvolgimento della popolazione civile nell’azione militare nel Donbass.
Le porte per il dialogo sono praticamente chiuse e la speranza che l’azione militare possa risolvere la situazione in un periodo limitato nel tempo sembra ormai sepolta. Senza una virata decisa da parte di Poroshenko verso un confronto concreto con Mosca, l’unico attore che potrebbe avere un’influenza sui ribelli, l’OAT sembra destinato a fallire e il Donbass a rappresentare una grande spina nel fianco per Kiev ancora a lungo.