UCRAINA – Ora qualcuno ipotizza persino di cedere armi nucleari a Kiev

Funzionari statunitensi hanno discusso la possibilità di fornire armi nucleari all’Ucraina

Secondo quanto riportato dal New York Times, funzionari statunitensi ed europei hanno esplorato diverse opzioni per dissuadere la Russia dall’occupare ulteriori territori in Ucraina, tra cui la possibilità di fornire a Kiev armi nucleari. Il rapporto, pubblicato anche da ZeroHedge, sottolinea come gli analisti occidentali ritengano improbabile un’escalation significativa da parte del Cremlino prima dell’insediamento di Donald Trump come presidente, previsto per gennaio.

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Questa previsione si basa sull’idea che Trump, insieme al suo presunto direttore dell’intelligence nazionale Tulsi Gabbard, possa adottare una linea politica più favorevole nei confronti della Russia. Tuttavia, va ricordato che, durante la sua prima amministrazione, Trump ha dimostrato un atteggiamento tutt’altro che morbido verso Mosca: ha intensificato le sanzioni contro il paese, fornito armi letali all’Ucraina ed espulso un considerevole numero di diplomatici russi dagli Stati Uniti.

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Reazione russa

La Russia ha reagito con fermezza alle indiscrezioni sulla possibilità che l’Occidente fornisca armi nucleari all’Ucraina. Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, ha dichiarato: “Non abbiamo dubbi che l’Occidente possa arrivare a offrire armi nucleari al regime di Kiev.”

Anche Dmitry Peskov, portavoce del presidente Vladimir Putin, ha espresso una posizione netta, definendo queste discussioni “irresponsabili”. Secondo Peskov, tali affermazioni provengono da persone che “non comprendono appieno la realtà dei rischi che comportano.”

Il vice capo del Consiglio di Sicurezza russo, Dmitry Medvedev, è intervenuto con toni ancora più preoccupanti, descrivendo la possibilità di trasferire armi nucleari a Kiev come un segnale pericoloso:

“La semplice minaccia di fornire armi nucleari al regime di Kiev può essere interpretata come una preparazione a un conflitto nucleare con la Russia.”

Medvedev ha poi aggiunto un monito esplicito: “Un eventuale trasferimento di tali armi sarebbe considerato un attacco diretto contro la Russia, e le conseguenze di una simile azione sarebbero inevitabili.”

La “rana bollita”: una metafora applicabile al conflitto attuale

Questo approccio strategico riflette la tattica della “rana bollita”, una metafora che descrive come cambiamenti graduali e sottili possano portare a conseguenze drammatiche senza che il soggetto colpito se ne accorga in tempo. La metafora deriva dall’idea, non scientifica ma suggestiva, secondo cui una rana immersa in una pentola d’acqua riscaldata gradualmente non percepisce il pericolo, finendo bollita. Se invece venisse gettata direttamente in acqua bollente, reagirebbe istintivamente per salvarsi.

Nel contesto del conflitto russo-ucraino, questa metafora si rivela particolarmente calzante. Le politiche occidentali sembrano mirare a spingere la Russia a una lenta erosione strategica, aumentando la pressione gradualmente ma senza provocare reazioni immediate e catastrofiche. Tuttavia, questo approccio implica un rischio significativo: sottovalutare la capacità del Cremlino di reagire improvvisamente e in modo decisivo, trasformando una situazione apparentemente controllata in una crisi di proporzioni imprevedibili.

Questo è attuale e non è una ipotesi. Poche ore fa il rappresentante della Russia all’ONU ha affermato che il suo paese ha il diritto di usare armi contro installazioni militari in paesi che consentono l’uso di armi contro le sue installazioni.

“Ti avevamo messo in guardia, ma hai deciso.”

Tante Ombre e qualche luce: Trump nomina un inviato speciale per la Russia

Le strategie a lungo termine perseguite dall’Occidente, oltre a essere moralmente discutibili, rischiano di produrre conseguenze imprevedibili, soprattutto quando si opera in contesti tanto delicati quanto quelli legati alla deterrenza nucleare. Questi calcoli, spesso guidati da un approccio tattico piuttosto che strategico, possono sfociare in esiti disastrosi.

Nonostante queste fosche prospettive, emergono segnali di speranza legati alla scelta del presidente eletto Donald Trump di nominare il generale in pensione Keith Kellogg come inviato speciale in Ucraina, un ruolo cruciale nel contesto del conflitto in corso.

Un profilo di alto livello per un compito delicato

▪️ Esperienza militare e strategica: Kellogg, generale a tre stelle dell’esercito americano in pensione, vanta una lunga carriera decorata e una profonda competenza in affari militari e internazionali. Il suo ultimo incarico militare, prima del pensionamento nel 2003, lo ha visto ricoprire il ruolo di direttore del comando, controllo, comunicazioni e computer presso il Joint Chiefs of Staff, anche durante l’attacco terroristico dell’11 settembre.

▪️ Ruoli recenti e contributi strategici: Negli ultimi anni, Kellogg ha servito come consigliere per la sicurezza nazionale dell’ex vicepresidente Mike Pence e ha ricoperto incarichi chiave durante il primo mandato di Trump. Ad aprile, ha co-firmato una ricerca che proponeva una soluzione pacifica per il conflitto ucraino, ciò sottolinea la necessità di subordinare l’assistenza militare a Kiev alla partecipazione attiva a negoziati di pace con la Russia. Kellogg ha anche suggerito di finanziare la ricostruzione dell’Ucraina imponendo tasse sulle esportazioni di energia russa.

▪️ Visione per il futuro della NATO: Kellogg ha espresso posizioni incisive anche sul futuro della NATO, proponendo di rivedere l’applicazione dell’articolo 5 per i membri che non rispettano gli impegni di spesa per la difesa. In caso di vittoria di Trump, ha ipotizzato un vertice NATO nel giugno 2025 per ridefinire il ruolo dell’alleanza nell’attuale panorama geopolitico.

Una visione equilibrata in un momento critico

La nomina di Kellogg lascia intravedere la possibilità di un approccio pragmatico e ponderato al conflitto ucraino, che non si limiti a una semplice escalation militare ma cerchi soluzioni politiche sostenibili. Il suo profilo, che combina esperienza militare e visione diplomatica, potrebbe rappresentare un’opportunità per riportare il conflitto su un terreno di negoziazione, offrendo spiragli di speranza in un contesto segnato da crescente instabilità globale.

Semprechè si arrivi a gennaio senza  che si scateni  l’apocalisse…invero le azioni e decisioni che ogni giorno vediamo, lasciano inebetiti.