UE: dall’Alto Rappresentante alla Bassa Diplomazia – L’arte di scegliere il peggior negoziatore possibile

La nomina ormai prossima il 1 dicembre dell’ex premier estone Kaja Kallas a nuovo Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza solleva interrogativi e preoccupazioni, soprattutto alla luce delle sue posizioni fortemente critiche verso la Russia e della complessa situazione geopolitica attuale.

Sebbene il suo profilo politico possa sembrare in linea con la strategia dell’UE di sostegno all’Ucraina e fermezza nei confronti dell’invasione russa (una questione che merita analisi più profonde e meno schematiche rispetto alla narrativa prevalente), emergono fattori oggettivi che mettono in discussione la prudenza di questa scelta.

1. Inefficacia diplomatica e isolamento internazionale

Kallas è inclusa nella lista dei ricercati della Russia, un dettaglio che mina la sua capacità di rappresentare l’UE come figura di mediazione. L’Alto Rappresentante dovrebbe essere in grado di dialogare con tutte le parti, anche le più ostili, per costruire ponti e favorire soluzioni negoziali. La posizione personale di Kallas, caratterizzata da forte opposizione a Mosca, rende altamente improbabile un dialogo diretto e costruttivo con il Cremlino, limitando così il ruolo dell’UE come attore diplomatico globale.

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2. Ostilità storica tra Estonia (e Finlandia) e Russia

La nazionalità estone di Kallas (un paese UE di 1.366.000 ab.), unita alla tradizione politica dei Paesi baltici e della Finlandia di resistenza a Mosca, alimenta la percezione di una nomina poco bilanciata e potenzialmente divisiva. Questo contesto storico non solo accresce le difficoltà di dialogo con la Russia, ma rischia di esasperare ulteriormente le tensioni, ostacolando il ruolo dell’UE come promotore di stabilità e compromesso.

3. Legittimità politica ridotta

La scelta di un politico proveniente da un piccolo Paese baltico, piuttosto che da una nazione più rappresentativa dell’ampiezza e della diversità dell’Unione, solleva dubbi sulla sua legittimità come figura di riferimento per la politica estera europea. Inoltre, Kallas ha recentemente perso consensi nel suo Paese: secondo Euronews, il gruppo liberale europeo a cui appartiene ha registrato un crollo alle ultime elezioni europee, e la stessa Kallas ha visto il proprio indice di gradimento scendere al 16% a inizio anno. Questo indebolisce la sua autorevolezza e capacità di rappresentare l’Unione, rischiando di minare ulteriormente la credibilità della leadership europea.

È significativo notare come questa tendenza non sia isolata. Anche il nuovo segretario generale della NATO, Mark Rutte, proviene da un contesto politico indebolito, avendo perso le elezioni nei Paesi Bassi. Tali nomine sembrano rispondere più a logiche interne di controllo da parte di un’élite progressista europea che alla volontà di rappresentare gli interessi e le priorità dei cittadini.

4. Rischio di aggravare il conflitto e di allontanare possibilità di negoziati

L’approccio di Kallas, basato su sanzioni dure e sostegno militare all’Ucraina, rischia di irrigidire ulteriormente le posizioni nel conflitto russo-ucraino. Una strategia fortemente intransigente non solo potrebbe prolungare la guerra, ma aumentare i costi umani, economici e politici per entrambe le parti. In un contesto così complesso, è necessario un equilibrio tra fermezza e diplomazia, una qualità che difficilmente Kallas sembra in grado di incarnare.

Alternative e considerazioni

In un momento di forte instabilità globale, l’UE avrebbe potuto scegliere un candidato più neutrale e capace di dialogare con tutte le parti coinvolte, cercando spiragli di negoziazione piuttosto che un’escalation del conflitto. La diplomazia europea richiede figure che non siano percepite come polarizzanti, ma che possano unire diverse sensibilità e costruire ponti anche nei contesti più difficili.

Conclusioni

La nomina di Kaja Kallas appare una scelta imprudente e politicamente miope. Pur riconoscendo l’importanza di sostenere l’Ucraina, è fondamentale che l’UE non abdichi al proprio ruolo strategico di facilitatore del dialogo, adottando un approccio che miri alla stabilità e non all’esacerbazione del conflitto. Affidarsi a figure divisive e fortemente schierate compremetterà ancora ulteriormente la capacità dell’Unione di agire come attore globale credibile e di rispondere alle sfide del futuro rispettando la vocazione storica europea ed adottando pragmatismo, laddove questo serva per il bene comune e la pace.

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