È inutile negarlo: l’attuale grave crisi della chiesa è anche (e forse soprattutto) una crisi della sua gerarchia. Crisi del clero, dei vescovi e dello stesso papato. Crisi di credibilità morale, perché gli scandali, a torto o a ragione, hanno indotto in molti fedeli il sospetto di trovarsi di fronte non a casi isolati, per quanto numerosi, ma ad una corruzione diffusa, nascosta e largamente tollerata e coperta; ma soprattutto crisi di fiducia nell’autorità magisteriale, quando i fedeli ascoltano, anche dai pulpiti più alti, parole che sembrano loro non conformi all’insegnamento che hanno sempre ricevuto dalla chiesa, parole che non sembrano corrispondere tanto alla dottrina cattolica quanto al pensiero di che le pronuncia. Un pensiero, per giunta, che spesso pare volutamente ambiguo e confuso, o “liquido” come oggi si abusa dire.
Il rischio, gravissimo, è che, disorientati da questa confusione, i fedeli finiscano per prendere ciascuno la propria testa come bussola per tracciare la rotta della fede. Lo scandalo provocato dall’impressione (giusta o sbagliata che sia: insisto su questo, perché talvolta può essere un’impressione giusta e talvolta no) che chi nella chiesa ha il compito istituzionale di insegnare dica quel che pensa lui e non ciò che a sua volta ha ricevuto dal Signore (1 Cor 11,23) può così degenerare in uno scandalo ancora peggiore, quello per cui ciascuno si sente legittimato a “fare di testa sua”. La fine della chiesa, in pratica.
Può essere utile, in tali circostanze, riflettere su una realtà teologica, che prende il nome di sensus fidei, e della quale forse si parla troppo poco. Per quanto mi riguarda, ad esempio, confesso di aver scoperto solo recentemente l’esistenza di un pregevole documento elaborato dalla Commissione teologica internazionale, approvato e pubblicato dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 2014 e dedicato appunto a questo tema: «Il sensus fidei nella vita della chiesa». Non voglio attribuire troppo facilmente agli altri la mia ignoranza, ma ho l’impressione che esso non abbia avuto una grande circolazione. Penso quindi che sia interessante riportarne alcune parti e riassumerne i punti essenziali. Chi vuole leggerlo per intero, lo trova qui: http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140610_sensus-fidei_it.html.
Oggi ci fermiamo solo sull’impegnativa affermazione iniziale:
«1. Per il dono dello Spirito Santo, «lo Spirito della verità che procede dal Padre» e che rende testimonianza al Figlio (Gv 15,26), tutti i battezzati partecipano alla funzione profetica di Gesù Cristo, «Testimone degno di fede e veritiero» (Ap 3,14). Essi devono rendere testimonianza al Vangelo e alla fede degli apostoli nella Chiesa e nel mondo. Lo Spirito Santo dona loro l’unzione e fornisce le doti per questa alta vocazione, conferendo loro una conoscenza molto personale e intima della fede della Chiesa. Nella sua Prima lettera, san Giovanni dice ai fedeli: «Voi avete ricevuto l’unzione dal Santo, e tutti avete la conoscenza»; «l’unzione che avete ricevuto da lui [da Cristo] rimane in voi, e non avete bisogno che qualcuno vi istruisca»; «la sua unzione vi insegna ogni cosa» (1Gv 2,20.27).
2. Ne consegue che i fedeli possiedono un istinto per la verità del Vangelo, che permette loro di riconoscere la dottrina e la prassi cristiane autentiche e di aderirvi. Questo istinto soprannaturale, che ha un legame intrinseco con il dono della fede ricevuto nella comunione ecclesiale, è chiamato sensus fidei, e permette ai cristiani di rispondere alla propria vocazione profetica.»
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