Una nuova evangelizzazione del sociale

di S. E. Mons. Mario Toso Segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace (fonte Osservatore Romano 31/03/2011)

D. Mario Toso1
S. E. Mons. Mario Toso

Il prossimo 1º maggio cade il ventesimo anniversario della Centesimus annus, l’enciclica che può essere ricordata come la charta magna del nuovo ordine sociale dopo la caduta del muro di Berlino, ma che qui segnaliamo come luogo in cui, con riferimento alla dottrina sociale, si tematizza la coscienza di una nuova evangelizzazione del sociale. Un aspetto importante anche per il prossimo Sinodo. Si tratta di una dimensione della missione della Chiesa già messa in luce dalla costituzione conciliare Gaudium et spes.
La Centesimus annus, per articolare il rapporto tra evangelizzazione e dottrina sociale, muove dalla precedente enciclica Sollicitudo rei socialis.
Da questo documento, infatti, si può evincere che la dottrina sociale è da considerare strumento di evangelizzazione, parte integrante o elemento essenziale dell’opera di evangelizzazione della Chiesa (cfr. n. 41).
Secondo la Sollicitudo rei socialis, la Chiesa adempie il suo ministero di evangelizzazione in ambito sociale mediante la dottrina sociale, attuando in tal modo la sua funzione profetica, che si articola nel duplice momento dell’annuncio e della denuncia. Tramite la sua dottrina sociale, la Chiesa evangelizza il sociale, inteso nel modo più ampio.

Dalla Sollicitudo rei socialis emerge, dunque, che la dottrina sociale è frutto ed espressione dell’essere apostolico della Chiesa, della sua missione redentrice. Infatti, compito primario della Chiesa è quello di portare la salvezza a ogni uomo, a tutto l’uomo, considerato quindi anche nella sua dimensione sociale. Per questo, la missione della Chiesa si estende al sociale. Per questo, esistono il compito e la vocazione della Chiesa all’evangelizzazione del sociale.

Nella Centesimus annus è confermato ed espresso esplicitamente quanto la Sollicitudo rei socialis afferma indirettamente, innestandolo però nel contesto pastorale di una nuova evangelizzazione. E, così, Giovanni Paolo II scrive nei primi paragrafi della Centesimus annus: «La “nuova evangelizzazione”, di cui il mondo moderno ha urgente necessità e su cui ho più volte insistito, deve annoverare tra le sue componenti essenziali l’annuncio della dottrina sociale della Chiesa» (n. 5). Nel paragrafo 54, invece, scrive che la dottrina sociale «ha per sé il valore di uno strumento di evangelizzazione».

Per la prima affermazione, la dottrina sociale della Chiesa è un elemento essenziale della nuova evangelizzazione. La dottrina sociale non è facoltativa in
ordine all’attuazione della nuova evangelizzazione cui la Chiesa è chiamata. Pertanto, pretendere di realizzare una nuova evangelizzazione senza l’annuncio e la testimonianza della dottrina sociale equivarrebbe a realizzare una nuova evangelizzazione monca. La ragione di ciò sta nel fatto che la nuova evangelizzazione non può che essere annuncio di Gesù Cristo salvatore e redentore di tutto l’uomo e, quindi, annuncio di Gesù Cristo salvatore e redentore della vita sociale, delle varie società umane: la nuova evangelizzazione comprende necessariamente l’evangelizzazione del sociale. Ecco perché la dottrina sociale della Chiesa è da ritenersi, a suo modo, momento essenziale della nuova evangelizzazione. Ecco perché la nuova evangelizzazione ha tra i suoi momenti essenziali l’annuncio e la testimonianza della dottrina sociale.

Per la seconda affermazione, la dottrina sociale – come già rilevato presentando la Sollicitudo rei socialis – è evangelizzazione, sia pure particolare: evangelizzazione relativa al sociale, all’azione costruttrice di una società migliore. Proclamando la dottrina sociale della Chiesa strumento di evangelizzazione, se ne evoca inevitabilmente l’indispensabilità per la catechesi, per l’educazione cristiana in genere, per la pastorale sacramentale, per la pastorale sociale: la dottrina sociale è uno strumento o un elemento essenziale per l’educazione alla fede matura. Senza l’apporto della dottrina sociale, non si può educare globalmente e far crescere alla fede matura né i singoli credenti, né le comunità ecclesiali e religiose.
Con Giovanni Paolo II viene così aperto non solo uno sguardo più profondo sulla dimensione ecclesiale della dottrina sociale della Chiesa – infatti, se si afferma che essa è elemento essenziale della nuova evangelizzazione, si afferma anche che ogni comunità ecclesiale e ogni credente deve farsene carico – ma anche sulla sua dimensione pastorale e pedagogica, sulle sue necessarie relazioni, secondo reciprocità, con l’attività catechetica, liturgica, di servizio all’uomo.

In definitiva, rapportando esplicitamente la dottrina sociale alla missione evangelizzatrice della Chiesa, Giovanni Paolo II la radica maggiormente nel mistero di Gesù Cristo. La considera frutto ed espressione della proclamazione e della testimonianza dell’opera di salvezza di Gesù Cristo per ogni uomo, per tutto l’uomo, per la società. Tramite la dottrina sociale, Gesù Cristo viene indicato come Via, proclamato come Verità, comunicato come Vita nei confronti delle realtà sociali (cfr. Centesimus annus, 3), compresi, ovviamente, la politica, lo Stato sociale e democratico. Con l’annuncio e la testimonianza della dottrina sociale, la Chiesa non solo evangelizza il sociale e lo rende più umano, ma mira a coinvolgere tutti gli uomini, incamminandoli alla comunione con l’Uomo Nuovo, Gesù Cristo, il ricapitolatore di tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. In altre parole, con la dottrina sociale la Chiesa si ripropone di affermare, sempre più, il regno di Dio nel mondo.

Il Compendio rappresenta un’altra tappa importante della riflessione ecclesiale sull’evangelizzazione del sociale. Chi lo prende in mano e lo legge con attenzione si rende presto conto che esso è sviluppo coerente dell’impostazione teologica,cristologica ed ecclesiologica dei documenti conciliari e, in particolare, della Costituzione pastorale Gaudium et spes, sulla base di una visione di comunione e di missione. Mentre riprende le principali tematiche sociali della Gaudium et spes aggiornandole, integrandole, inserendo tra di esse (matrimonio e famiglia, progresso culturale, la vita economico-sociale, la vita della comunità politica, la pace e la comunità dei popoli), ad esempio, l’argomento o area della salvaguardia dell’ambiente (cfr. capitolo decimo del Compendio), riflessioni sugli organismi geneticamente modificati e sull’uso delle biotecnologie (cfr. nn. 472-480), sull’uso dell’acqua, sulle unioni omosessuali (cfr. n. 228), sul cosiddetto «diritto al figlio» (cfr. n. 235), sulla «guerra preventiva» (cfr. n. 501).

Secondo la riflessione conciliare e postconciliare sulla natura e sulla missione della Chiesa, la comunità cristiana vive, annuncia, celebra e testimonia nel tempo, e in diversi contesti, la totalità della caritas Christi, nelle sue molteplici e correlate dimensioni. Vive questo grande amore di Cristo mediante un ministero di diaconia globale all’uomo, alla famiglia umana e al cosmo, esplicandolo e programmandolo come una nuova evangelizzazione del sociale. L’evangelizzazione del sociale – espressione di una comunità ecclesiale che fa memoria della rivelazione piena dell’Amore trinitario offerta dalla Pasqua del Signore Gesù – intende annunciare e attuare la vocazione di ogni uomo e di ogni società all’amore trinitario, inscritta in essi da Dio creatore. L’Amore trinitario è origine e meta di ogni persona e della storia tutta (cfr. Compendio, n. 34).
Tale connotazione trinitaria dell’evangelizzazione del sociale la rende naturalmente fautrice di un nuovo umanesimo o, meglio, di innumerevoli progettualità e di umanesimi integrali, solidali, aperti alla Trascendenza (cfr. Compendio, n. 7). Questi diffondono e incarnano negli ethos dei popoli, nelle istituzioni, nella rete delle relazioni, una visione d’uomo e di donna la cui perfezione e identità si compiono mediante il dono di sé, nel mutuo potenziamento d’essere, vissuti in Cristo con la forza del suo amore.
Tramite un umanesimo trinitario, le comunità o le varie organizzazioni sociali sono costituite come ambienti in cui le persone sperimentano e sviluppano la loro dimensione trascendente sia in senso orizzontale che verticale. Più precisamente, si avvalgono di un’antropologia secondo cui la libertà della persona non è radicale, incondizionata, indifferente al vero, al bene e a Dio, bensì è una libertà che si sceglie come libertà per il vero, per il bene e per Dio; per la comunione e per la cura dell’altro, sulla base di un’universale tensione all’Amore, principio di quella legge morale naturale che norma l’azione umana. La persona, oltre che un essere per se stesso, è un essere-per .
All’inizio del terzo millennio, in forza della globalizzazione e delle nuove scoperte tecnologiche che la supportano si è costruito un mondo nuovo, con enormi possibilità di sviluppo, di comunicazione e di interconnessione, ma anche di disumanizzazione, di emarginazione dei più poveri.

Il rischio che sta emergendo è che, come rileva la Caritas in veritate, «all’interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l’interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano» (n. 9). Detto altrimenti, il mondo, sottoposto a una progressiva e a una pervasiva globalizzazione, si trova di fronte a un bivio: o un’esistenza di maggior comunione, di unità, di condivisione e di inclusione, o essere un’umanità divisa, estranea a se stessa, soggiogata da una nuova ideologia, tecnocratica e materialistica, che rinchiude persone e popoli entro un destino di alienazione quasi totale, perché impedisce di «incontrare l’essere e la verità» (n. 70).
Le ideologie non sono, dunque, tutte tramontate. Ne sorgono di nuove, forse meno visibili ma non per questo meno pericolose per la dignità della persona e per il destino della stessa umanità. In particolare, la costruzione del mondo globalizzato sembra avviata sui binari di una cultura universale che, a causa del primato accordato alla tecnica, a ciò che è materiale e strumentale, riduce persone e popoli a «cose», a «merci», a «prodotto» di un fare prometeico, espressione di una libertà assoluta, slegata dai limiti che la stessa realtà impone.
Come ha mostrato l’ultima crisi finanziaria, con i suoi eccessi e le sue devastazioni a catena, l’umanità può essere davvero soggiogata da ideologie che ne interpretano lo sviluppo in termini meramente tecnocratici, aventi come unici criteri di verità l’efficienza e l’utilità. Alla base di simili distorsioni sta un errore essenzialmente antropologico ed etico e, prima ancora, gnoseologico. Non a caso, la Caritas in veritate rammenta che la questione sociale, questione globale, è diventata radicalmente questione antropologica (cfr. n. 75).
Uno dei segni più evidenti della devastazione antropologica che investe il processo della globalizzazione è dato, secondo Benedetto XVI, dalla esiziale separazione tra etica della vita ed etica sociale. È questo un ambito in cui si possono meglio cogliere la profondità dell’alienazione contemporanea e il danno radicale che ne deriva per la stessa convivenza civile. Una società, sia essa piccola o grande, non può sussistere come unione morale, non può cioè essere giusta e pacifica, quando tollera le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata (cfr. Caritas in veritate, 51).

Un mondo globalizzato, animato da un umanesimo spiritualmente depotenziato, appiattito su una concezione tecnicistica e materialistica della vita, cade nella presunzione dell’auto-salvezza e finisce per promuovere uno sviluppo disumanizzato. È in questo contesto che Benedetto XVI propone, in definitiva, una nuova e grande evangelizzazione del sociale.
A fronte di una globalizzazione che avvolge il mondo con le sue potenzialità positive, ma anche con i suoi dinamismi negativi, mediante la Caritas in veritate, affida alla Chiesa e alle comunità il compito di annunciare Gesù Cristo come Colui che, mentre salva l’umanità associandola alla sua pienezza di vita e divinizzandola, contemporaneamente la purifica e la libera, rafforzandola in quella capacità di ricercare il vero, il bene e Dio, che è praticamente negata dalla cultura post-moderna e che, invece, costituisce la base per umanizzare la globalizzazione in termini di unità e di progressiva comunionalità.
L’evangelizzazione del sociale, a cui fa appello Benedetto XVI, rimanda a eventi salvifici che sono realizzati dalla potente mano di Dio creatore e redentore, e che costituiscono, per tutte le persone e le generazioni, un dono che le precede, fondativo del loro essere antropologico ed etico, forza propulsiva di riscatto: Cristo è «globalizzato» sin dalla creazione del mondo; è Colui che sospinge l’umanità, in cui è incarnato, all’unità fraterna, all’inclusione.
Parimenti, l’evangelizzazione richiede, da parte delle comunità, un particolare impegno missionario. Al «principio» della vita di Cristo offerta a tutti, seminata nei solchi della storia, deve corrispondere l’organizzazione e l’attivazione di un’evangelizzazione del sociale avente come suo elemento essenziale la dottrina sociale della Chiesa. Mediante quest’ultima, la Chiesa annuncia la verità dell’amore di Cristo nella società: tutti gli uomini, destinatari dell’amore di Dio, sono «costituiti soggetti di carità, chiamati a farsi essi stessi strumenti della grazia, per effonder la Carità di Dio e per tessere reti di carità» (Caritas in veritate, 4).
Rispetto alla crisi della ragione e alla conseguente perdita del telos, secondo la Caritas in veritate, è decisivo e cruciale l’annuncio di Gesù Cristo. È indispensabile un’evangelizzazione del sociale corrispondente. Non a caso Benedetto XVI, ricalcando le orme di Paolo VI, afferma che esso è «il primo e principale fattore dello sviluppo» (n. 8).
(L’Osservatore Romano 31 marzo 2011)

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