Il presidente turco Tayyip Erdogan ha ammesso che presto l’Iran potrebbe procedere con i previsti colloqui tra Turchia, Russia e Siria al più alto livello, tra i leader dei rispettivi paesi.
Erdogan ha proposto al presidente russo Putin di organizzare l’incontro, preceduto da riunioni preparative tra i capi dei servizi di intelligence, del ministero della Difesa e del ministero degli Esteri dei rispettivi paesi.
Il presidente turco, in un incontro con i giovani a Bilecik, in Turchia, ha detto:
“Diciamo: lasciate che Russia-Turchia-Siria si uniscano in un trio. Facciamo partecipare anche l’Iran, conduciamo i nostri negoziati in questo modo e facciamo pace nella regione. Anche qui stiamo ottenendo risultati”.
Questo clima di dialogo che cerca di far tornare protagonisti i paesi della devastata regione, è motivo di scontento da parte statunitense ed europea. Purtroppo più che la concordia, la soggettività politica e l’autodeterminazione dei popoli, l’occidente vede tutto questo come interferenza che vuole esautorare l’unilateralismo e “l’ordine fondato sulle regole”.
Così l’occidente ha scatenato una “guerra mondiale a pezzi” laddove la propria influenza è messa in discussione. In particolare, c’è appena stata una aggressione di droni in Iran e costantemente l’occidente cerca di utilizzare il malcontento delle minoranze del paese per far cadere il paese nel caos, spesso con motivazioni risibili come, per l’Iran, il velo islamico. Nel frattempo il 23 gennaio Israele e Stati Uniti hanno iniziato l’esercitazione militare congiunta USA-Israele Juniper Oak senza precedenti. Naturalmente, l’obiettivo di tali esercitazioni è Teheran.
Molto probabilmente l’ostilità verso l’Iran sta crescendo per il suo aiuto alla Russia nella guerra ucraina e per i tentativi (mai provati nemmeno dall’AIEA) di dotarsi del nucleare. Almeno queste sono le ragioni propagandate dai nostri media mainstream. Tuttavia, c’è qualcosa di più sostanziale che fa inferocire Stati Uniti ed Israele, questo è l’accelerato processo di avvicinamento e di integrazione dell’economia iraniana con i paesi del BRICS.
In particolare, un portavoce della Banca centrale iraniana (CBI) domenica ha dichiarato che l’Iran e la Russia hanno firmato un memorandum d’intesa per collegare i loro sistemi di messaggistica bancaria attraverso i quali gli scambi finanziari e bancari sarebbero stati facilitati. L’Iran si libererebbe così dal giogo dai ricatti e delle sanzioni statunitensi, avrebbe la possibilità di uscire dall’isolamento internazionale.
Ma evidentemente ciò che sembra positivo per un popolo, è valutato diversamente a chi vuole mantenere la personale egemonia mondiale sotto le proprie regole.
È così che l’improvvisa chiusura delle ambasciate ad Ankara (suggerita dagli USA, secondo l’intelligence turca), ha fatto capire alle autorità turche che qualcuno ben informato – più del governo stesso -, ha ‘presagito’ che il paese potrebbe ricadere nel caos come nel fallito colpo di stato del 2016.
A fronte della decisione di chiudere le ambasciate, il ministero degli Esteri turco ha affermato:
“Giovedì la Turchia ha convocato gli ambasciatori di nove paesi (tra cui Stati Uniti, Germania e Francia) per chiedere spiegazioni dopo che hanno temporaneamente chiuso le missioni diplomatiche e hanno emesso allarmi di sicurezza citando una accresciuta minaccia a seguito del rogo del Corano in Europa.”
Detta così si potrebbe pensare che la chiusura delle ambasciate possa essere semplicemente una misura prudenziale per prevenire l’intransigenza islamica. Tuttavia, il modus operandi occidentale ci ha abituati a ben altro. Il momento è topico: in Turchia si avvicinano le elezioni e Ankara sta facendo importanti pressioni sui protetti da Washington in Siria, ovvero sul gruppo “Tharir al Sham” (ex al Qaeda in Siria) per la restituzione dell’autostrada M4 a Damasco. Ne consegue che queste tensioni sono congeniali agli attori esterni che vorrebbero vedere un incendio.
Se ci fosse qualche dubbio sulla casualità della misura della chiusura delle ambasciate, ovvero che questa decisione sia stata presa per eventi imprevedibili, la seguente notizia lascia allibiti: dopo che il governo svedese aveva detto che probabilmente il Corano sarebbe stato bruciato da provocatori russi, il segretario generale del Partito democratico svedese, Richard Jomshof, ha affermato che “la rabbia della Turchia dovrebbe essere contrastata bruciando altri 100 Corani”.
Si direbbe che gli svedesi – notoriamente tolleranti – vogliano improvvisamente scatenare la protesta islamica in Turchia.
Se ciò dovesse accadere, le circostanze potrebbero servire su un piatto d’argento la possibilità di un regime change nel paese o di indurre Erdogan a desistere nella sua attuale agenda. Sappiamo molto bene che nelle sommosse si possono infiltrare franchi tiratori ed agitatori per scatenare la repressione. Creare l’incidente, con magari qualche morto, è la condizione essenziale per poter poi dire che Erdogan è a capo di una sanguinaria dittatura che reprime. Questo copione lo abbiamo visto messo in pratica molte volte, tutti sono in grado di interpretarlo.
Quindi si chiudono ambasciate, evidentemente in modo coordinato, in maniera unanime. Una unanimità raggiunta nella delizia della guerra e del nemico finalmente trovato, dopo tanto giubilo per la caduta del muro.
È proprio questa unanimità su tutto che mi fa paura.