fonte Michael Hudson sito ateneo
“Ma se un paese non mantiene i propri impegni, credo che tutti saremmo d’accordo nel ritenere che il secondo stage dovrà essere differente. Andremmo troppo in là se noi considerassimo, in questo secondo stage, di dare alle autorità dell’area euro una voce più forte e più autorevole nella formazione delle politiche economiche della nazione se queste falliranno pesantemente? Un’influenza diretta, che va ben oltre la sorveglianza potenziata che è prevista al momento? Jean-Claude Trichet, Presidente della BCE mentre riceve il premio Carlo Magno per l’unità dell’Europa (Aachen, 2 giugno 2011)
Subito dopo che il Partito Socialista aveva vinto le elezioni nazionali in Grecia nell’autunno del 2009, era diventato palese che le finanze del governo erano un disastro. Nel maggio del 2010 il Presidente francese Nicolas Sarkozy prese l’iniziativa per raccogliere 120 miliardi di euro dai governi europei per sussidiare il sistema fiscale non progressivo che aveva portato il governo greco in un mare di debiti, che le banche di Wall Street avevano aiutato a nascondere sotto una contabilità stile Enron.
Il sistema impositivo era come un imbuto che raccoglieva le tasse per pagare le banche tedesche e francesi che stavano comprando i sempre più deprezzati bond governativi. I banchieri stanno dando l’imprimatur su questo modo d’intendere la politica, la condizione necessaria per derubare i bond greci quando arrivano alla scadenza e per estendere le scadenze nel breve lasso di tempo in cui la Grecia è costretta a operare. Se questo piano avesse successo, sarebbe una manna per gli attuali possessori delle obbligazioni. Il 1° giugno Moody’s ha abbassato il rating sul debito greco a “junk” (da Caa1, poi a B1, che era già abbastanza basso), stimando una probabilità del default pari al 50%. L’abbassamento è servito per mettere ancora più alle strette il governo greco. Senza considerare la politica dei funzionari europei, Moody’s ha affermato: “C’è una sempre maggiore probabilità che i sostenitori della Grecia (il FMI, la BCE e la Commissione dell’UE, noti anche come la “Troika”), in un futuro prossimo, richiederanno la partecipazione dei creditori privati nella ristrutturazione del debito come precondizione per il supporto finanziario.”[1]
Oggetto sconosciuto
La condizione per un nuovo e “riformato” pacchetto di prestiti è che la Grecia inizi una guerra di classe alzando le tasse, abbassando la spesa sociale – e persino le pensioni del settore privato– e vendendo pezzi di territorio, i siti turistici, le isole, i porti, gli impianti per la potabilizzazione e le fognature. Tutto questo alzerà il costo della vita e quello per fare gli affari, erodendo ancora la già limitata competitività per le esportazioni. I banchieri lo hanno descritto in modo ipocrita come un “salvataggio” delle finanze greche.
Quelle che sono state davvero salvate un anno fa, nel maggio del 2010, furono le banche francesi che detenevano 31 miliardi di euro in obbligazioni greche, le banche tedesche con 23 miliardi e altri investitori stranieri. Il problema è come permettere ai greci di tirare avanti. Quando fu eletto, il Primo Ministro socialista Papandreou era ritenuto capace di portare il suo elettorato lungo linee simili a quelle seguite dai neoliberali Socialdemocratici e dai Laburisti in tutt’Europa, ossia privatizzare le infrastrutture fondamentali e destinare le entrate future per pagare i banchieri.
L’opportunità che ha il settore finanziario per arraffare i beni pubblici e stringere la cinghia al fisco non è mai stata migliore. I banchieri, da parte loro, avevano tutta l’intenzione di concedere prestiti per finanziare gli acquisti dei monopoli delle scommesse, dei telefoni, dei porti e dei trasporti o altre simili opportunità. E per la classe più agiata della popolazione greca, il pacchetto di prestiti dell’UE dovrebbe rendere possibile di restare all’interno dell’Eurozona abbastanza a lungo per permettergli di spostare i capitali fuori dal paese prima che si arrivi al punto in cui la Grecia sarà obbligata a sostituire l’euro con la dracma e svalutare la propria moneta. Fino a che il cambio non fosse avvenuto, la Grecia avrebbe dovuto seguire le politiche, già praticate nei paesi baltici e in Irlanda, volte a favorire la “svalutazione interna”, ossia il calo del potere di acquisto degli stipendi e i tagli del governo alla spesa sociale (a parte i pagamenti al settore finanziario) per abbassare il tasso di occupazione e abbassare i livelli di reddito.
Quello che è effettivamente svalutato nei programmi di austerità o nel deprezzamento delle valute è il prezzo del lavoro. Che è il costo interno principale, allo stesso modo in cui c’è un prezzo comune globale per il petrolio e per i minerali, per i beni di consumo, il cibo e persino per il credito. Se gli stipendi non possono essere ridotti dalla “svalutazione interna” (con la riduzione del personale che parte dal settore pubblico, portando così alla caduta degli stipendi), il deprezzamento della moneta riuscirà comunque allo scopo. Questo è il modo in cui in Europa la guerra dei creditori contro i paesi debitori si è trasformata in una guerra al lavoro. Ma per imporre le riforme neoliberiste, la pressione che viene dall’estero è necessaria per bypassare i parlamenti eletti democraticamente. Non ci si può aspettare che il voto degli elettori sia più inutile per difendere i propri interessi di quelli dei lettoni e degli irlandesi.
La gran parte della popolazione greca ha capito quello che è successo grazie allo scenario che è stato lo sfondo di questi ultimi anni. “Papandreou stesso ha ammesso che non abbiamo voce in capitolo sulle misure economiche che ci sono state imposte”, ha detto il partigiano Manolis Glezos. “Sono state decise dall’UE e dal FMI. Adesso siamo sotto la supervisione straniera che può mettere in discussione anche la nostra indipendenza economica, politica e militare.” [2] Dalla destra dello schieramento politico, il leader dei conservatori, Antonis Samaras, ha preso la parola il 27 maggio quando le trattative con la troika europea si stavano facendo sempre più difficili: “Non possiamo essere d’accordo con una politica che uccide la nostra economia e distrugge la società. […] C’è solo una via d’uscita per la Grecia, rinegoziare il salvataggio [dell’UE/FMI].”[3]
Ma i creditori dell’Unione Europea hanno alzato la posta: rifiutare queste condizioni – è la loro minaccia – provocherebbe un ritiro dei finanziamenti che porterà al collasso del sistema bancario e all’anarchia economica.
I greci hanno rifiutato di arrendersi in modo pacifico. Gli scioperi hanno iniziato a diffondersi dai sindacati del settore pubblico per sfociare nel movimento dell’“Io non pago” quando i greci hanno iniziato a rifiutarsi di pagare i pedaggi autostradali o altre tariffe per l’accesso ai servizi pubblici. La polizia e gli altri esattori non hanno cercato di stimolare questa raccolta. Il consenso sempre maggiore per il populismo ha portato il Primo Ministro del Lussemburgo, Jean-Claude Juncker, a porre minacce simili a quelle che il collega britannico ha rivolto all’Islanda: se la Grecia non si fosse abbassata ai voleri dei ministri delle Finanze europei, avrebbe bloccato la concessione della trance dei prestiti del FMI fissato per giugno. Questo avrebbe impedito al governo di pagare le banche straniere e i fondi speculativi che hanno comprato il debito greco quando le quotazioni erano in ribasso.
Per molti greci questa è una minaccia che gli viene rivolta dai ministri delle finanze per spararsi nei piedi. Se non ci sono soldi per pagare, i possessori stranieri delle obbligazioni ne patiranno le conseguenze, se la Grecia metterà la propria economia al primo posto. Ma questa è un’ipotesi remota. Il Primo Ministro socialista, Papandreou, ha già emulato il collega islandese socialdemocratico Sigurdardottir per creare un “consenso” di modo da obbedire ai ministri delle Finanze dell’UE. “I partiti dell’opposizione rifiutano quest’ultimo pacchetto di austerità con la convinzione che i tagli necessari per la concessione del salvataggio di 110 miliardi di euro stanno strozzando la vita dell’economia.” (Ibid.)
Seguendo questi propositi, la Grecia, l’Irlanda, la Irlanda, Spagna, il Portogallo e il resto dell’Europa faranno arretrare le riforme democratiche ottenute in passato e si incammineranno verso un’oligarchia finanziaria. L’obbiettivo finanziario è quello di bypassare il parlamento con la richiesta di un “consenso” per mettere i creditori in primo piano, sempre al di sopra del resto dell’economia. Ai parlamenti viene chiesto di mollare la presa sui propri poteri decisionali. La vera definizione di “libero mercato” è ora diventata quella di una pianificazione centralizzata nelle mani dei banchieri centrali. Questa è la prossima strada per la servitù verso cui ci stanno portando i “liberi mercati” finanziarizzati: il libero mercato dei privatizzatori che comprano i monopoli a prezzi stracciati per renderli “liberi” dai prezzi politici e dalle regolamentazioni anti-trust, “liberi” dai limiti sul credito per proteggere i debitori e al di sopra di tutte le interferenze dei parlamenti regolarmente eletti. Intrufolarsi nei monopoli naturali dei trasporti, delle comunicazioni, delle lotterie e del demanio è quello che viene chiamata l’alternativa alla servitù, e non la strada verso lo schiavismo del debito e verso un neofeudalesimo finanziario che incombe sulle società del futuro. Questa è la filosofia economica alla rovescia dei nostri tempi.
La concentrazione del potere finanziario nelle mani di soggetti che non agiscono in modo democratico ha a che fare proprio col modo in cui la pianificazione centralizzata dell’Europa è stata ottenuta. La Banca Centrale Europea non ha un governo eletto che possa far leva sulle tasse. La costituzione dell’Unione Europea impedisce alla BCE di aiutare i governi. Inoltre, gli Articoli di Programma del FMI anch’essi vietano un sostegno fiscale interno per i deficit di bilancio. “Uno stato membro può ottenere credito dal FMI solo a condizione che abbia ‘un bisogno di fare acquisti a causa della sua bilancia dei pagamenti e della consistenza delle sue riserve o gli sviluppi delle sue riserve.’
Grecia, Irlanda e il Portogallo non sono certo a corto di riserve di divise straniere. […] Il FMI sta prestando a causa di problemi di bilancio e non è quello che dovrebbe fare. La Deutsche Bundesbank ha chiarito a fondo questo punto nel suo report mensile del marzo 2010:
‘Un qualsiasi contributo finanziario del FMI per risolvere i problemi della necessità di divise straniere – come il finanziamento diretto dei deficit di bilancio – sarebbe incompatibile col suo mandato monetario.’ Il direttore del FMI Dominique Strauss-Kahn, e l’economista Olivier Blanchard stanno portando il FMI fuori dal suo territorio, e non c’è tribunale che li possa fermare.”[4]
La morale è che, quando si devono salvare i banchieri, le regole vengono ignorate, per servire una “più alta giustizia” che sostenga le banche e le sue controparti dell’alta finanza dall’affrontare le perdite. Questo è l’esatto opposto delle politiche del FMI nei riguardi del lavoro e dei “contribuenti”. La lotta di classe è di nuovo sugli scudi e, con fare vendicativo, i banchieri hanno vinto anche questa volta
La Comunità Economica Europea che ha preceduto l’Unione Europea fu creata da una generazione di leader il cui obbiettivo primario era quello di porre fine alle guerre intestine che hanno sconvolto l’Europa per un migliaio di anni. Il fine per molti era quello di far terminare l’esistenza degli Stati-nazione con la premessa che sono le nazioni che si fanno la guerra. Le aspettative diffuse erano che la democrazia economica si sarebbe opposta alla classe aristocratica e monarchica che ha sempre cercato gloria con la conquista. All’interno dei paesi, le riforme economiche avevano lo scopo di purificare le economie europee dalle eredità feudali che avevano determinato le conquiste del territorio e dei beni pubblici in generale. L’obbiettivo era quello di beneficiare tutta la popolazione. Questa era un programma di riforma di una classica economia politica.
L’integrazione europea ha considerato il commercio come la via di minore resistenza, con il Comunità del Carbone e dell’Acciaio promossa da Robert Schuman nel 1952, seguita dalla Comunità Economica Europea (la CEE, il Mercato Comune) nel 1957. L’integrazione delle pratiche alle dogane e le Politiche Agricole Comuni (CAP) furono facilitate dall’integrazione finanziaria. Ma senza un vero parlamento continentale a scrivere le leggi, a fissare il livello delle imposte, a proteggere le condizioni del lavoro e dei consumatori e a controllare i centri bancari offshore, le pianificazioni centralizzate sono passate naturalmente nelle mani dei banchieri e delle istituzioni finanziarie. Questo è un effetto della sostituzione degli Stati-nazione con la pianificazione dei banchieri. È il modo in cui le politiche democratiche sono sostituite dall’oligarchia finanziaria.
La finanza è una forma di guerra. Come le conquiste militare, il suo obbiettivo è quello di guadagnare il controllo del territorio, delle infrastrutture pubbliche e di imporre i tributi. Per far questo si ha bisogno di piegare le leggi e di piegare la progettualità economica e anche sociale nella mani di poche persone. Questo è quello che è riuscita a fare la finanza, senza però i costi dello schieramento di un esercito. Ma le economie sotto attacco possono essere ancor più devastate dal rigore finanziario che da un attacco militare quando poi si arriva alle limitazioni demografiche, alla riduzione delle aspettative di vita, all’emigrazione e al trasferimento all’estero dei capitali.
Questo attacco non è stato condotto dagli Stati-nazione, ma da una classe finanziaria cosmopolita. La finanza è sempre stata più cosmopolita che nazionalistica e ha sempre cercato di imporre le sue priorità e il potere legislativo su quello delle democrazie parlamentari.
Come per un qualsiasi monopolio o potere forte, la sua strategia finanziaria cerca di bloccare il potere dei governi che vogliono regolarla o tassarla. Dal punto di vista della finanza, la funzione ideale di un governo sarebbe quella di rafforzare e proteggere il capitale finanziario e “il miracolo degli interessi composti” che permette alle proprie fortune di moltiplicarsi esponenzialmente, più velocemente di quanto l’economia riesca a fare fino a che non riesca a divorarsi tutta l’economia.
Questa dinamica finanziaria oggi minaccia di distruggere l’Europa. Ma la classe finanziaria ha già ottenuto potere a sufficienza per poter condizionare l’ideologia corrente e così insistere nel dire che i popoli delle nazioni sono una minaccia all’unità europea nel voler resistere ai richiami cosmopoliti del capitale finanziario che sono necessari per imporre l’austerità al mondo del lavoro. I debiti che non sono più rimborsabili dovranno essere portati all’interno dei bilanci dello Stato, senza alcun conflitto militare, ovviamente. Almeno lo spargimento di sangue è solo un ricordo del passato. Dal punto di vista della popolazione d’Irlanda e Grecia (a cui, forse, fra poco si uniranno quelle di Portogallo Spagna), i governi nazionali parlamentari devono mobilitarsi per imporre le politiche necessarie alla resa della nazioni ai pianificatori finanziari. Alcuni sostengono che l’ideale sarebbe quello di ridurre i parlamentari a pupazzi del regime che servono la classe cosmopolita finanziaria usando il leverage del debito per sottrarre il poco che è rimasto del demanio pubblico, che una volta veniva definito come “bene comune”. Così facendo, stiamo entrando in un mondo post-medievale di enclosures, un cambiamento provocato dalle leggi finanziarie che sopravanzano le leggi nazionali e le consuetudini contro il bene comune.
In Europa il potere finanziario è concentrato in Germania, in Francia e nei Paesi Bassi. Sono le loro banche che detengono la maggior parte dei bond del governo greco che ora viene richiamato all’austerità, e quelle irlandesi che sono già state salvate dai loro contribuenti.
Giovedì 2 giugno, il Presidente della BCE, Jean-Claude Trichet, ha delineato la strada da seguire per radicare l’oligarchia finanziaria in tutta Europa. In modo consono, ha annunciato il suo progetto proprio mentre riceveva il premio Carlo Magno a Aachen in Germania, esprimendo in modo simbolico che l’Europa doveva essere unificata, non tanto in virtù della pace economica sognata dagli architetti del Mercato Comune negli anni ’50, ma sul terreno, diametralmente opposto, dell’oligarchia.
Durante il suo discorso [5] “Costruire l’Europa, costruire le istituzioni”, il signor Trichet ha giustamente accreditato il Consiglio Europeo, guidato da Van Rompuy, per aver dato direzione e forza fin dal livello più alto, e anche il gruppo dei ministri delle Finanze dell’Eurozona che sono diretti da Juncker. Trichet si è riferito al “trialogo tra Parlamento, Commissione e Consiglio”.
Il compito dell’Europa, ha spiegato, era quello di seguire Erasmo per portarla oltre la sua tradizionale e “rigida concezione delle nazioni”: “Il problema del debito richiede nuove misure di politica monetaria – le chiamiamo ‘decisioni non standard’, strettamente separate dalle decisioni ‘standard’ che hanno lo scopo di permettere una migliore implementazione delle nostre politiche monetarie nelle anormali condizioni del mercato odierno.” La questione da affrontare è come rendere tutto questo la norma, ossia come pagare i debiti e ridefinire la solvibilità di una nazione dalla sua capacità di pagare con la svendita del demanio pubblico.
“Le nazioni che non hanno seguito alla lettera lo spirito delle regole sono state in difficoltà”, ha notato il signor Trichet. “Con il contagio, queste difficoltà hanno colpito altre nazioni dell’EMU. Rafforzare le regole per prevenire politiche scorrette è da questo momento una priorità urgente.” Il suo uso del termine “contagio” descrive i governi democratici e la protezione dei debitori come una malattia. E ci ricorda i discorsi dei colonnelli greci, che aprono il famoso film del 1969 “Z”, pronunciati per combattere la sinistra come se ci fosse un agente infestante da sterminare con il giusto pesticida ideologico. Trichet ha adottato la retorica dei colonnelli. Il compito dei Socialisti in Grecia è evidentemente di fare quello che i colonnelli e i conservatori che li hanno seguiti non sono riusciti a fare: portare il lavoro a dover affrontare riforme economiche irreversibili.
Trichet afferma:
Le trattative sono ancora in corso e comprendono l’assistenza finanziaria seguendo condizioni rigide, pienamente in linea con le politiche del FMI. Sono attento alle questioni che alcuni osservatori potrebbero sollevare sulla direzione da intraprendere. La linea tra solidarietà regionale e responsabilità individuale potrebbe essere mal interpretata se gli obblighi non venissero soddisfatti in modo rigoroso.
Dal mio punto di vista, potrebbe essere appropriato prevedere due stage nel medio termine per i paesi in difficoltà. Ciò richiederebbe naturalmente una modifica del Trattato.
Il primo stage dovrebbe fornire l’assistenza finanziaria nel contesto di un robusto aggiustamento di programma. È corretto dare a queste nazioni un’opportunità per sistemare da sole la situazione e per ripristinare la stabilità.
Allo stesso tempo, una simile assistenza è negli interessi dell’intera area euro per prevenire che le crisi si diffondano in modo da poter danneggiare altri paesi.
È di fondamentale importanza che avvengano questi aggiustamenti, che le nazioni – governo e opposizione – si uniscano nello sforzo, e che i paesi contributori sorveglino con grande attenzione l’implementazione del programma.
Ma se un paese non mantiene i propri impegni, io credo che tutti saremmo d’accordo nel ritenere che il secondo stage dovrà essere differente. Andremmo troppo in là se noi considerassimo, in questo secondo stage, di dare alle autorità dell’area euro una voce più forte e più autorevole nella formazione delle politiche economiche della nazione se queste falliranno pesantemente? Un’influenza diretta, che va ben oltre la sorveglianza potenziata che è prevista al momento?
Il Presidente della BCE ha poi dato le premesse politiche del suo programma di riforma (una parodia dell’uso del termine “riforma” nell’odierno Contro-Illuminismo):
Possiamo vedere davanti ai nostri occhi che l’appartenenza all’UE, e ancora di più all’EMU, comporta una nuova comprensione del modo in cui si esercita la sovranità. L’interdipendenza significa che le nazioni, de facto, non devono avere un’autorità completa all’interno dei propri confini. Tutto questo può portare ad affrontare crisi causate dalle politiche economiche scorrette poste in essere da altre nazioni.
Con l’impostazione contenuta nel secondo stage, noi cambieremmo drasticamente la governance che adesso è basata sulla dialettica della sorveglianza, delle raccomandazioni e delle sanzioni. Nel contesto attuale, tutte le decisioni rimangono nelle mani delle singole nazioni, anche nel caso in cui le raccomandazioni non vengano seguite e persino se quest’attitudine scatena difficoltà più pesanti per gli altri stati membri. Nella nuova concezione, nel secondo stage non solo sarebbe possibile, ma in qualche caso obbligatorio, che le autorità europee – in particolare il Consiglio sulla base di una proposta della Commissione presa insieme alla BCE – prendano decisioni da applicare nelle economie interessate.
Ci potremmo immaginare che le autorità europee abbiano di avere il diritto di veto sulle decisioni di politica economica nazionale. Il mandato potrebbe includere in particolare politiche di maggior spesa fiscale e alcuni elementi essenziali per la competitività della nazione.
Per “politiche economiche scorrette” il signor Trichet intende il non pagare i debiti, da intendersi con la possibilità di pagare senza dover rinunciare ai territori e ai monopoli del demanio pubblico e quindi il rifiuto di veder sostituita la democrazia politica ed economica con il controllo del settore bancario. Affondando il coltello della lunga storia dell’idealismo europeo, ha descritto in modo subdolo il suo proposito di un colpo di stato finanziario come se stesse seguendo lo spirito di Jean Monnet, di Robert Schuman e degli altri liberali che hanno promosso l’integrazione europea nella speranza di creare un mondo più pacifico, più prospero e produttivo e non certo basato sul lo scippo dei beni pubblici da parte della finanza.
Trichet ha continuato:
Jean Monnet nelle sue memorie scrisse 35 anni fa: “Nessuno può dire oggi quale sarà la cornice istituzionale dell’Europa in un domani perché i cambiamenti futuri, che sono favoriti da quelli odierni, sono imprevedibili.”
Nella sua Unione del domani, o del dopodomani, sarebbe troppo audace, in campo economico, con un mercato unico, una sola divisa e una sola banca centrale, di immaginare un ministro delle finanze dell’Unione? Non necessariamente un ministro delle finanze che amministri un grande bilancio federale. Ma un ministro delle finanze che possa esercitare la responsabilità diretta in almeno tre ambiti: primo, la sorveglianza sia delle politiche fiscali che di quelle per il sostegno alla competitività, così come le dirette responsabilità sopra menzionate riguardo le nazioni al “secondo stage” ce sono all’interno dell’area euro; in secondo luogo, tutte le tipiche responsabilità di tutti gli organismi dirigenziale sul settore finanziario unificato dell’unione per favorire la piena integrazione dei servizi finanziari; e terzo, la rappresentanza della confederazione dell’unione nelle istituzioni finanziarie internazionali.
Husserl concluse la sua lettura in modo visionario: “La crisi esistenziale dell’Europa può finire in uno solo di questi due modi: con suo crollo (…) sprofondando nell’odio per lo spirito e nella barbarie; o in una sua rinascita dallo spirito della filosofia, attraverso l’eroismo della ragione (…)”.
Come il mio amico Marshall Auerback ha sottolineato ironicamente, il suo messaggio è abbastanza simile alla descrizione di quello che sta succedendo negli Stati Uniti: “Questa è la risposta Repubblicana nel Michigan. Prendere possesso delle città in crisi che sono governate dalle minoranze in disgrazia, rimuovere dal potere i governi democraticamente eletti e usare poteri straordinari per imporre l’austerità.” In altre parole, non deve esistere nell’Unione Europea alcuno spazio per una qualsiasi mediazione come quella sostenuta da Elizabeth Warren. Non è l tipo d’integrazione idealistica a cui guardano il signor Trichet e la BCE. Lui ci sta portando nella direzione mostrata dalle ultime immagini del film “Z”:
le cose vietate dalla giunta includono “i movimenti pacifisti, gli scioperi, i sindacati, gli uomini con i capelli lunghi, i Beatles, altre musiche moderne e popolari, Sofocle, Lev Tolstoy, Eschilo, scrivere che Socrate era omosessuale, Eugène Ionesco, Jean-Paul Sartre, Anton Chekhov, Harold Pinter, Edward Albee, Mark Twain, Samuel Beckett, i circoli culturali, la sociologia, le enciclopedie internazionali, la libera stampa e la nuova matematica. È anche vietata la lettera Z, che era usata come un ricordo simbolico per suggerire che Grigoris Lambrakis e, per estensione lo spirito della resistenza, vive (zi = ‘egli (Lambrakis) vive).”[6]
Il Wall Street Journal ha ben riassunto il senso politico del discorso di Trichet:
Se un paese soggetto a un bail out non rispetta il programma di aggiustamento fiscale, allora si potrebbe richiedere un “secondo stage” per “dare alle autorità dell’area euro una voce molto più forte e autorevole nella formazione delle politiche economiche del paese”[7] […] Le autorità dell’Eurozona – e specificamente le loro istituzioni finanziarie, non le istituzioni democratiche che hanno lo scopo di proteggere i lavoratori e i consumatori per alzare il tenore di vita – “possono avere il diritto di veto sulle decisioni di politica economica interna al paese”. In particolare, un veto potrebbe essere applicato per le “politiche di maggior spesa fiscale e per alcuni elementi essenziali alla competitività del paese”. Parafrasando la lugubre richiesta del signor Trichet, “In questa futura unione […] non sarebbe troppo audace in campo economico […] di immaginarsi un ministro delle finanze dell’unione?” L’articolo ha riportato che “un tale ministro non dovrebbe disporre di un grande budget federale ma sarebbe coinvolto nella sorveglianza e nell’emissione dei voti e dovrebbe rappresentare il blocco monetario alle istituzioni finanziarie internazionali.”
La mia memoria personale è che l’idealismo socialista dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale era disgustato dal vedere gli Stati-nazione usati come uno strumento degli apparati militari. Questa ideologia pacifista ha poi offuscato l’originale ideologia socialista della fine del XXIX secolo, che voleva riformare i governi per dargli il potere legislativo, quello di tassare il potere e di togliere la proprietà dalle mani delle classi che ne erano in possesso fino dalle invasioni vichinghe che in Europa stabilirono i privilegi feudali, per abolire la proprietà delle terre e il controllo finanziario dei monopoli del commercio e, in modo sempre più forte, il privilegio bancario della creazione della moneta.
Un mio collega all’UMKC, il professor Bill Black, ha recentemente commentato nella sezione economica del blog dell’UMKC: “Uno dei paradossi più grossi è che i governi periferici, generalmente guidata dalla sinistra, hanno adottato in modo entusiastico i rimedi economici totalmente di destra della BCE, e l’austerità diventa così la riposta appropriata a una forte recessione. […] Il perché i partiti di sinistra hanno seguito i consigli degli economisti ultra-conservatori, i cui dogmi contro le regole hanno aiutato a provocare questa crisi, è uno dei più grandi misteri della vita. Le loro politiche sono autodistruttive per l’economia e suicide in senso politico.”[8]
Grecia e Irlanda sono diventate la cartina di tornasole per verificare come le economie possono essere sacrificate nel tentativo di pagare debiti che non possono essere pagati. C’è la minaccia di un interregno durante il quale le strade che portano ai default e all’austerità permanente ridurranno l’importanza di un numero sempre maggiore di imprese pubbliche, devieranno sempre più gli introiti dei consumatori per pagare i debiti pubblici e le imposte raccolte dai governi per pagare i possessori delle obbligazioni, oltre alle entrate del settore privato per pagare i banchieri.
Se non è guerra questa, ditemi cos’è.
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Note:
[1] Mark Gongloff,“Moody’s Downgrades Grecia”, Wall Street Journal, 1 giugno 2011.
[2] Helena Smith, “The Greek spirit of resistance turns its guns on the IMF”, The Observer, 9 maggio 2010.
[3] Reuters, “Grecia PM fails to win austerity reform backing”, Financial Times, 28 maggio 2011.
[4] Roland Vaubel, “Europe’s Bailout Politics”, The International Economy, Primavera 2011, p. 40.
[5] “Building Europe, building institutions.” Discorso di Jean-Claude Trichet, Presidente della BCE al ricevimento del premio Carlo Magno 2011 ad Aachen, 2 giugno 2011.
[6] Film “Z”
[7] Tom Fairless, “Trichet Calls for Tougher Debt Intervention”, Wall Street Journal, 2 giugno 2011.
[8] Bill Black, “Bad Cop; Crazed Cop – the IMF and the ECB”, New Economics Perspectives, 30 maggio 2011.