fonte: La Perfetta Letizia – autore Patrizio Ricci
Si sono interrogati su questo tema un gruppo di studenti dell’Università di Pescara insieme agli on. Maurizio Lupi e Ermete Realacci
Vale la pena ancora far politica? Gli studenti universitari della facoltà di economia di Pescara l’hanno chiesto all’on. Maurizio Lupi (PdL) in occasione della presentazione del suo libro ‘La prima politica è vivere’. “Quando si fanno molte promesse, poi qualcuna bisogna pur mantenerla” ha detto scherzando all’ingresso dell’aula magna dove studenti e professori lo attendevano. E’ arrivato con un suo amico, l’on. Ermete Realacci (PD), con cui condivide l’esperienza dell’Inter-gruppo parlamentare bipartisan, e proprio la presenza di due uomini appartenenti a due diversi schieramenti politici non era casuale, perché nella loro amicizia c’è il significato e il motore della loro attività politica.
Ecco alcuni dei passaggi più significativi dell’intervento di Lupi: “Quando parlo ai miei figli capisco che più di quello che io dico conta un segno, quello che è più importante è una testimonianza alla quale loro possono guardare. Perché l’importante è mettere in moto la loro libertà, la loro responsabilità. Così sul libro, per rispondere alla domanda se valesse la pena fare politica, ho pensato che la cosa migliore fosse raccontare pezzi della mia vita … Quando ero ragazzo, e da matricola frequentavo la Cattolica a Milano, ho letto un libro importante, quello di Havel, che allora era un dissidente intellettuale sotto il regime comunista. Il titolo era ‘Il potere dei senza potere’: E’ la storia di un fruttivendolo che non faceva parte della dissidenza, non aveva un progetto politico. Quest’uomo vendeva frutta e verdura insieme a sua moglie, faceva un’attività normale.
Sotto il sistema comunista tutto doveva essere connivente con il regime, controllato, strumento della propaganda; per cui era obbligatorio mettere, posta sotto l’etichetta della prezzatura delle varie tipologie di prodotti agricoli, la scritta ‘proletari di tutto il mondo unitevi’. A un certo punto quel fruttivendolo non sopporta più di essere parte del ’meccanismo’. E allora fa un gesto molto semplice, decide di continuare a vendere frutta e verdura ma nello stesso tempo di compiere un atto di libertà: non esporre più la scritta ‘proletari di tutto il mondo unitevi’.
Da quel momento, il fruttivendolo diventa il nemico numero uno del potere, più della dissidenza. E Havel si chiede: come mai un gesto quasi banale, così semplice, può diventare il nemico principale del potere, qualunque esso sia? Il motivo è che l’uomo se non spegne questa domanda di giustizia e di verità, nasce una dinamica più grande e quel gesto di libertà diventa atto ostile, all’ideologia, perché non strumentalizzabile”. E da politico cattolico, precisa che essere cristiano sostiene una tensione al vero che permette di appartenere a formazioni politiche diverse senza che però sfugga il fine ultimo della propria attività.
“Emblematico è stato il modo con cui noi due ci siamo incontrati – dice Lupi riguardo alla sua amicizia con Realacci – Quando io ero nella giunta del sindaco Albertini a Milano e cercavo di acquisire una cascina abbandonata, che era diventata luogo di degrado e commercio della droga, decidemmo come giunta di affidare quella cascina al progetto di volontariato che poi diventerà la Fondazione Banco Alimentare. Fui subito attaccato dalle opposizioni, ma Ermete accettò di schierarsi a favore di questo progetto, fece un gesto di libertà enorme.
Come me anche lui identifica la politica con il desiderio di fare una delle cose più belle che un uomo possa fare: mettere i propri ideali, i propri valori e le proprie capacità anche al servizio dell’altro, della comunità. Ermete si interrogò sulla bontà del progetto e non su chi lo presentava, si preoccupò solo di valorizzarlo, chiedendosi unicamente se potesse essere utile per la comunità”.
Per quel gesto Ermete Realacci si trovò contro il suo partito. “Da questo tipo di atteggiamento derivano i problemi che abbiamo oggi – dice il parlamentare del PD – derivano dalla debolezza della politica che non è riuscita ad aggredire questa crisi, a fare il cambiamento di cui il paese aveva bisogno“. L’ex presidente di LegAmbiente prosegue dicendo che quello che lo accomuna a Lupi è l’idea che il paese ce la possa fare se mette in moto le sue energie migliori: “Una visione miope tende a leggere la situazione italiana solo dai fondamentali o peggio ancora dal rating. Mentre l’economia reale è fatta di passione, di carne, di storia d’identità, di meccanismi profondi”. L’Italia ha già in sé nella propria storia, nelle proprie radici la chiave del suo futuro: ”Io vorrei molto che il programma del nostro paese fosse ancora oggi quello descritto nella Costituzione senese.
Nel 1309 i senesi scrivono infatti una Costituzione bellissima. In particolare sono stupende tre righe, che dicono: ’Chi governa deve avere a cuore massimamente la bellezza della città per cagione e diletto e allegrezza dei forestieri, per onore, prosperità e accrescimento della città e dei cittadini‘. C’è l’accoglienza, c’è inclusione, c’è l’idea che se uno affascina c’è una marcia in più, e per che cosa? Per l’onore, che è un bene molto particolare: è difficile misurarlo ed è impossibile comprarlo.
E’ la base della buona economia. E’ la base dell’accrescimento della città e dei cittadini, sono le radici profonde del nostro paese”. E’ un punto di vista della visione del mondo si chiama ‘cultura’: ”La buona politica è prendere i lati positivi della nostra identità, del nostro presente, per costruire un futuro migliore“ . E confida: “Non mi sono mai pentito di aver cercato dei fili con gli altri partiti, Maurizio per primo tra questi, per ragionare su un’Italia migliore. Questo è il compito della politica”.
E citando Einstein, Lupi dice: “ Chiunque crede che la sua vita e quella dei suoi simili sia priva di significato è non soltanto infelice ma è appena appena capace di vivere. La preoccupazione dell’uomo e del suo destino deve sempre costituire l’interesse principale di tutti gli sforzi etici.
Non dimenticatelo mai in mezzo ai vostri diagrammi e alle vostre equazioni “. E conclude “Mi sembra che questa sia la questione. E se sei attento a te stesso, sei attento all’altro; non aspetti più che il problema venga risolto dall’università, dallo Stato, dal comune, ma diventi tu stesso motore del cambiamento”. Ci sembra proprio di capire che non è il manicheismo che unisce in un lavoro, ma è una tensione al vero che può far incontrare l’altro, nell’incombenza dell’uni-verso, sempre coscienti del proprio limite.