Al Forum di Davos, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha identificato la disinformazione come la più grande minaccia mondiale, addirittura superiore alle guerre globali e al cambiamento climatico. Questa affermazione segna un pericoloso precedente, equiparando la libertà di parola e il dissenso a minacce per l’umanità.
Questa narrativa, che due anni fa vedeva nel coronavirus e poi nel riscaldamento globale le maggiori minacce, ora si focalizza sulla disinformazione suggerendo un tentativo di controllare il dialogo pubblico e soffocare le opinioni divergenti.
La posizione di von der Leyen, che identifica la disinformazione come la “minaccia più grande” superando persino le guerre globali e il cambiamento climatico, solleva questioni fondamentali sulle definizioni e sui confini della libertà di espressione. Sebbene la lotta alla disinformazione sia un obiettivo legittimo quando si parla di fake news e manipolazione mediatica, in realtà emerge che spesso le fake news le genera l’apparato di potere stesso e, spesso lanciando campagne di indirizzamento della percezione dei fatti del tutto fuorviante e menzognero rispetto a eventi specifici, in modo che le decisioni statali siano poi legittimate e ricevano consenso.
In altri casi, il potere dominante cerca di instillare paura nella popolazione, in modo che possa poi giustificare decisioni altrimenti impopolari. In questo contesto di pratiche antidemocratiche ed autoritarie, esiste il rischio che questo impegno tanto decantato di ‘combattere la disinformazione’ che la von der Leyen auspica e reclama, possa essere utilizzato per sopprimere voci contrarie e limitare il dibattito pubblico.
In una tale prospettiva, ogni opinione divergente dall’ortodossia dominante potrebbe essere rapidamente etichettata come “disinformazione”, minando così i principi fondamentali di un dibattito democratico e aperto.
In altri termini, la narrazione pubblicizzata dalla von der Leyen al Forum di Davos sulla ‘disinformazione’ è senza dubbio da interpretare come un tentativo di rafforzare il controllo sull’informazione e sul dibattito pubblico, posizionando così le élite al centro della definizione di verità e realtà.
Le dichiarazioni della von der Leyen, se interpretate in una luce critica, possono essere viste nella propria luce vera: un segnale di un approccio autoritario che valorizza l’omogeneità del pensiero a scapito della pluralità e del dissenso.
La cosiddetta “lotta alla disinformazione” la stiamo già da tempo vedendo applicata come uno strumento per etichettare e sopprimere ogni voce critica o alternativa, limitando così la pluralità di opinioni e il dibattito democratico. In questo modo, ora a Davos si programma di “ricostruire la fiducia” che è proprio il titolo dell’incontro stesso.
Quindi il progetto di combattere la polarizzazione e la disinformazione è una lotta senza quartiere che si diventerà ancora più forte in futuro contro il pensiero critico.
Ma la storia ci insegna che la diversità di opinioni e la capacità di esprimere liberamente il dissenso sono essenziali per una società sana e per lo sviluppo di soluzioni veramente efficaci ai problemi globali ed al vero progresso umano. E’ arrivato il momento di dimostrare di voler essere persone libere. Oggi è possibile soprattutto concentrandosi sul vero senso della propria vita e su ciò che conta veramente nell’esistenza, lunga o corta che sia.