È terminato a San Francisco l’importante vertice tra il presidente cinese Xi Jinping e il presidente Joe Biden. Secondo il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi, l’obiettivo era cercare di migliorare le relazioni bilaterali, che si sono andate progressivamente deteriorando. In particolare, la questione di Taiwan è emersa come un tema cruciale, con la Cina che insiste sulla difesa della sua sovranità e dei suoi interessi pur riaffermando che non intende attaccare l’isola.
Tuttavia, John Kirby, coordinatore per le comunicazioni strategiche presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, ha riferito che Biden ha comunicato a Xi Jinping l’intenzione degli Stati Uniti di proseguire nella fornitura di armamenti a Taiwan, nonostante le obiezioni di Pechino.
Durante il dialogo, durato quattro ore, Xi Jinping ha chiarito che la Cina non aspira a sovvertire gli Stati Uniti o interferire nelle loro politiche interne, e ha richiesto la rimozione delle sanzioni unilaterali imposte dagli USA. Xi ha anche evidenziato la crescita costante della Cina, affermando che nessuna forza esterna potrà fermare il suo sviluppo.
Biden e la Dichiarazione su Xi Jinping
Da un lato, il presidente Biden ha riconosciuto l’unicità della leadership di Xi Jinping, tuttavia, ha sorprendentemente aggiunto che lo considera un dittatore. Tale commento avrebbe potuto essere omesso, in quanto sembra indicare una predisposizione negativa non solo nei confronti della figura di Xi, ma anche verso la Cina nel suo insieme.
Biden ha usato il termine “dittatore” in un contesto estremamente negativo, suggerendo che le azioni benefiche per il popolo siano meno probabili in regimi non democratici. Tuttavia, non è automaticamente garantito che uno stato democratico, come l’Unione Europea con il suo sistema rappresentativo complesso, operi in modo più efficace o trasparente. Un governo dovrebbe essere valutato in base ai risultati ottenuti e adattato alle specificità culturali, sociali e religiose della società che governa.
La Democrazia durante la pandemia e la libertà dei cittadini
Come dimostrato dalle restrizioni imposte durante la pandemia, la democrazia non è sempre sinonimo di libertà. Anche in un sistema democratico, i cittadini possono essere privati dei loro diritti, spesso sotto la giustificazione di agire per il “bene comune”, adottando meccanismi di persuasione e manipolazione sociale più sottili rispetto all’imposizione diretta.
Riformulando il concetto, si può dire che il presidente Biden ha articolato con estrema chiarezza una visione critica nei confronti della Cina, andando oltre una semplice valutazione del ruolo di Xi Jinping. La sua posizione identifica la Cina non solo come un leader influente, ma soprattutto come il principale rivale degli Stati Uniti a livello globale, cosicché – a parere della leadership statunitense – rappresenterebbe una sfida strategica che richiede anche una risposta militare. Così facendo Biden accentua le tensioni e contribuisce a un clima di instabilità tra i concorrenti internazionali. Questa strategia ricorda la storica “politica delle cannoniere”, un approccio che mira a risolvere questioni complesse attraverso la forza, un metodo che ha le sue radici nella politica estera britannica coloniale.
Approccio di Biden verso i paesi ‘alleati’
In contesti diversi, come nel caso delle relazioni con paesi guidati da regimi autocratici, ad esempio l’Arabia Saudita, si osserva che il presidente Biden tende a moderare i suoi commenti critici. Questo atteggiamento riflette una cautela nel non offendere i leader di tali nazioni, rispettando le regole diplomatiche. tradizionali. Tale prudenza è visibile anche nei rapporti con nazioni che non hanno una costituzione formalmente stabilita per i loro cittadini, come Israele. In questo caso, emerge una politica di ‘due pesi e due misure’, ovvero un approccio diplomatico variabile a seconda che si tratti di paesi considerati alleati o meno influenzati dalla politica estera degli Stati Uniti. Questa differenziazione nell’approccio diplomatico adottato da Biden rappresenta un aspetto rilevante, poiché evidenzia una variazione nelle strategie politiche a seconda delle relazioni internazionali e degli interessi in gioco, nonostante i tanto richiamati ‘diritti umani’.
Inutile dire che le relazioni diplomatiche , in una situazione normale, dovendo puntare per realizzare un fine superiore che è la pace e la prosperità dovrebbe consigliare un linguaggio diplomatico che deve enfatizzare i punti di unione e non i punti di disunione a beneficio delle telecamere. Questo approccio non solo faciliterebbe una comunicazione costruttiva ma contribuirebbe anche a promuovere un’atmosfera di collaborazione e comprensione reciproca tra le nazioni.
La Democrazia e la giustizia negli Stati Uniti
Tra l’altro, gli Stati Uniti non brillano in quanto a democrazia. La disuguaglianza sociale, il welfare, l’amministrazione della giustizia, il sistema carcerario e la polizia sono solo alcuni ambiti in cui dovrebbero essere fatti passi avanti, affinché questo paese possa essere indicato come perfettamente giusto ed equo. La stessa cosa dicasi per il complesso sistema elettorale, di tipo rappresentativo che, per giunta, ha adottato un sistema di votazione elettronico e per posta fallace e soggetto a manipolazioni.
Competizione tra Stati Uniti e Cina: la visione di Biden
Biden ha ammesso che i due paesi hanno fatto progressi, ma ha ribadito la sua intenzione di mantenere una ‘sana competizione’ con la Cina. Questo appare solo un esercizio di tipo letterario visto che alla richiesta di XI di sollevare i numerosi dazi e sanzioni contro la Cina, il presidente americano non ha risposto positivamente. Alla luce di questo non si può dire che sarà attuata ‘una sana competitività’. Due giocatori devono agire con le stesse regole, se ciò non avviene ‘la sana competitività’ non sussiste. A meno che azioni come la guerra in Ucraina, le rivoluzioni arancioni , l’esplosione del North Stream 2 , possano essere classificate come sana competitività.
Conclusioni e Prospettive Future
In definitiva, questo vuol dire che l’escalation tra ile due superpotenze continuerà sugli stessi dossier ancora aperti. La sola accezione sono temi marginali e non le tematiche di maggior rilievo nel mondo , forse fatta eccezione della cura del pianeta e della riapertura di un percorso verso la ripresa dei contatti militari. Altrimenti i partiti sono rimasti ciascuno con la propria opinione.
E’ sconcertante che un incontro a questo livello non abbia dato frutti più sostanziali. Ciò dimostra ancora una volta che solo chi vive una piena libertà in sé ed ha a disposizione un sistema che la sostiene, può fare passi di pace e progresso nel mondo, perseguendo il bene comune di tutto il genere umano.
Risulta paradossale che, mentre esiste una collaborazione internazionale per affrontare il cambiamento climatico a beneficio del pianeta, quando si tratta di decisioni che riguardano direttamente gli esseri umani – gli unici beneficiari con piena consapevolezza di sé – le scelte tendono ad essere più conflittuali e meno orientate al bene comune.
Contrasto tra politica estera degli USA e nuovi percorsi internazionali: il ruolo emergente dei BRICS
Tuttavia, è importante riconoscere che, nonostante le critiche rivolte alla politica estera degli Stati Uniti, esistono aree dove il progresso è tangibile e va oltre la tradizionale egemonia statunitense. Per contro, questo paese, per un breve periodo visto come una forza equilibratrice, è progressivamente percepito come un attore imperiale che impone le sue decisioni in molte parti del mondo, specialmente in periodi di crisi finanziaria. Più che risolvere, gli Stati Uniti tendono ad esacerbare i conflitti, intervenendo su linee di frattura religiose ed etniche.
In contrasto, paesi come Russia, Cina, India, Brasile e altri membri del BRICS stanno delineando un nuovo percorso. Questi Stati stanno adottando un approccio al mondo che si distingue per essere meno oppressivo. È interessante notare che queste nazioni, spesso etichettate come governate da regimi autoritari, stanno emergendo come forze più pacifiche nel panorama internazionale, mostrando una maggiore apertura verso il pluralismo e il multilateralismo. Questo rappresenta una visione alternativa del mondo, che sfida le percezioni convenzionali sulla dittatura e l’autoritarismo.
di Patrizio Ricci – VPNews
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La cupola globalista al bivio: guerra mondiale o coesistenza – Umberto Pascali Paolo Borgognone
Biden e Xi Jinping si sono incontrati ieri al vertice dell’APEC (l’organo per la Cooperazione Economica Asia-Pacifico) in corso a San Francisco. Circa quattro ore di faccia a faccia. Una ripresa del dialogo a tutti i livelli, anche militari per “capirsi reciprocamente in modo chiaro e fare in modo che la competizione non sfoci in conflitto” come ha dichiarato Biden. E per “superare le differenze” in un mondo “abbastanza grande per la convivenza e per il successo di Cina e Stati Uniti”, che “non possono voltarsi le spalle”, tanto meno sullo sfondo di un’economia globale “in ripresa ma con uno slancio lento, appesantita dal protezionismo” ha dichiarato a sua volta Xi Jinping.
Ma mentre Biden e Xi si incontravano, la portavoce del Ministro degli Esteri russo Lavrov, Maria Zakharova, ha rivelato che gli americani avevano proposto incontri segreti che la Russia ha declinato in quanto la Russia ha buoni rapporti con tutti gli stati aderenti all’APEC e non ha bisogno di incontri segreti.
Con il nuovo conflitto Israele si è isolato dal resto del mondo; anche l’Occidente dimostra serie difficoltà a gestire la posizione di Israele e di Netanyahu e anche gli Stati Uniti risultano ulteriormente isolati.
A questo punto le opzioni che rimangono per gli USA sono lo scatenare una guerra allargata o coesistere con i nuovi protagonisti della scena mondiale.
Ospiti oggi in trasmissione UMBERTO PASCALI in collegamento da Washington e PAOLO BORGOGNONE.
Conduce CARLO SAVEGNAGO https://youtu.be/nMhY2o3kOyY?si=rURHSzp79Xd_ALmt
THE ECONOMIST:
“Donald Trump rappresenta il più grande pericolo per il mondo nel 2024”, ha pubblicato la rivista britannica The Economist, con questo titolo e una caratteristica copertina.
La pubblicazione ritiene che la vittoria di Trump alle elezioni significherebbe per la Russia una fine favorevole alla guerra in Ucraina, la distruzione della NATO e la resa di Taiwan alla Cina. La rivista ricorda che l’ex presidente è ora in testa nei sondaggi d’opinione e nelle primarie repubblicane, nonostante i procedimenti penali, che “non hanno fatto altro che rafforzare la posizione di Trump”. I democratici si trovano anche a fronteggiare un calo del sostegno da parte degli elettori neri e latini (il che aggiunge punti a Trump). Se Trump tornasse alla presidenza per un secondo mandato, “sarebbe libero di perseguire ritorsioni, protezionismo economico e accordi teatralmente stravaganti”. “Trump ritiene che per l’America spendere sangue e denaro in Europa sia un pessimo affare. Per questo ha minacciato di porre fine alla guerra in Ucraina in un giorno e di distruggere la NATO”, scrive la rivista. Potrebbe anche essere disposto a stringere un accordo con il presidente cinese Xi Jinping per rinunciare a Taiwan perché non capisce perché l’America dovrebbe entrare in guerra con una superpotenza nucleare per una piccola isola. “Il secondo mandato di Trump rappresenterebbe uno spartiacque che non si è verificato il primo. La vittoria confermerebbe i suoi istinti più distruttivi nei confronti del potere. I suoi piani incontrerebbero meno resistenza”, conclude la rivista.