VIRUS,MENZOGNE AMMAZZAPOPOLI E MES

Ovvero: come una ristretta élite persegue, deliberatamente e senza scrupoli, la realizzazione di un sistema di schiavitù non percepita.

La firma del MES prevista per oggi è slittata ancora. Ma non bisogna illudersi l’intenzione della UE è sempre quella di far pagare tutto ai debitori, anzi di usare l’occasione del virus per costringere – in emergenza – a sottoscrivere quello che non è affatto  la sola soluzione e ciò che non è vero che è inevitabile. Come potreste vedere ovunque sul web, virus o non virus il potere di questo mondo avanza nella sua opera di distruzione del bene comune a vantaggio di una ristretta élite di redditieri.

L’ennesimo cappio al collo di questa povera Italia è pronto. Si chiama MES detto anche fondo-salva-stati. In realtà inguaia ulteriormente gli stati più deboli dell’UE e salva solo le banche che della speculazione sul nulla hanno fatto la loro bandiera in questi ultimi decenni.

In questo scenario ognuno deve fare quel che può e anche solo firmare una petizione è un modo di restare umani e non lasciare la politica in mano a gente che non saprei definire che tipo di bene comune persegue.

Questa è la petizione di un giudice costituzionale – lui ci mette la faccia! – contro il MES. 

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Cos’è il MES?

Fra i vari punti del trattato spicca soprattutto l’articolo 12 (per onor di cronaca già presente nell’edizione anteriforma), il quale al primo comma recita: “Ove indispensabile per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e dei suoi Stati membri, il MES può fornire a un proprio membro un sostegno alla stabilità, sulla base di condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto. Tali condizioni possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite”.

Nulla di nuovo, verrebbe da dire. Molto banalmente: il Mes interviene a sostegno delle finanze di una nazione in difficoltà (pur con tutte le storture procedurali di cui già si è dettorichiedendo però in cambio una serie di misure come quelle già sperimentate in Grecia. Parliamo dei vari “memorandum” che sono stati in grado di portare il Paese da una situazione critica ad una tragica.

La ristrutturazione del debito. Come in Grecia

Pur non automaticamente prevista dal Mes, un secondo – ma più importante – parallelo è quello con la ristrutturazione del debito, altra fattispecie che la riforma del Meccanismo intende rendere più agevole in caso di bisogno tramite il rafforzamento delle clausole di azione collettiva.

Citate sia nel preambolo che nel corpo (sempre all’articolo 12, terzo comma) della proposta di riforma, l’obiettivo della modifica è semplificare la procedure con cui giungere ad un accordo con i creditori in caso di necessità. E quale sarebbe questa necessità? L’unica che possiamo contemplare ragionevolmente è proprio la ristrutturazione dei Titoli di Stato. Il quale può sostanziarsi vuoi nel taglio del valore nominale dello stesso, vuoi nell’allungamento delle scadenze dello stesso, vuoi nell’imporre alle nuove emissioni di avvenire sotto una giurisdizione diversa da quella italiana.

Ora, tralasciando il devastante segnale che il solo prevedere tale possibilità offre ai mercati e sorvolando anche sui gravissimi rischi che comporterebbe per banche e risparmiatori, il parallelo è servito ancora su un piatto d’argento. Si tratta infatti di quanto già successo con la Grecia, che oltre al cosiddetto “haircut” sui sirtaki bond è stata costretta, dal 2012 in avanti, a non emettere più titoli sotto la propria legge nazionale. Dettaglio forse passato inosservato, ma cruciale: da allora, quella che per Atene era un’assoluta convenienza ad uscire dall’euro si è trasformata nella “convenienza” – virgolette d’obbligo – a rimanervi a forza, dovendo altrimenti onorare un debito pubblico che, in caso di Grexit, non verrebbe denominato nella nuova valuta, la cui (più che presumibile) svalutazione significherebbe un salasso alle casse elleniche per onorare i pagamenti periodici che avverrebbero in una moneta diversa. La Grecia, insomma, è blindata all’interno dell’eurozona, con la potenziale cura trasformata ex lege in qualcosa che è diventato peggiore del male: costretta a dover, per sempre, fare i conti con un’austerità che salvo qualche temporanea boccata di ossigeno continuerà a stritolarla. E’ la fine che vogliamo rischiare di far fare all’Italia?

Filippo Burla – Primato Nazionale

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