Categories: Attualità

Un volto vero per l’emergenza politica

 

Carlo I

Autore: Costa, Luca Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele

Fonte: CulturaCattolica.it

Nell’imbarazzante panorama politico attuale, ciò di cui avremmo davvero bisogno è un’alternativa al nulla, l’agghiacciante nulla quotidianamente sotto i nostri occhi. L’indegno teatrino dei partiti che guidano il nostro paese verso il baratro.
Non ci sono più politici veri, statisti veri. Abbiamo invece migliaia di capricciosi incapaci, diversamente onesti e ultrapagati, ma non è più possibile, ad ogni latitudine ideologica, identificare un solo vero uomo politico in questo paese.

Per questo, oggi che sarebbe stato il suo centoventiseiesimo compleanno, è importante ricordare un uomo che ebbe del potere una visione diversa: Carlo I d’Austria.
Beato della Chiesa Cattolica, per la precisione beatificato da Giovanni Paolo II il 3 ottobre 2004.
L’ultimo interprete di quella regalità sacra che ha costituito praticamente tutto ciò che chiamiamo Europa.
Nato il 17 agosto del 1887, divenne per grazia di Dio imperatore d’Austria e re apostolico d’Ungheria, a soli 29 anni, alla morte del grande Francesco Giuseppe, nel 1916. Da subito, Carlo si adoperò per cercare di porre fine alla prima guerra mondiale, l’inutile strage. Voleva la pace.
Nell’agosto del 1917, al termine dell’undicesima battaglia dell’Isonzo, il fotografo di corte Schumann vide Carlo piangere davanti ai cadaveri disfatti e dilaniati, e lo sentì sussurrare: “Nessun uomo può più rispondere di questo davanti a Dio. Io faccio punto, quanto prima possibile”.
In Austria — e dovunque in quasi tutta Europa — c’era penuria di viveri. Povertà, fame e morte erano le sole vere vincitrici di quel vergognoso conflitto. L’Imperatore lo sapeva, e ridusse al minimo il tenore di vita nella casa, dove lui e la sua famiglia si nutrivano con le razioni di guerra. Al comando supremo di Baden, Carlo rifiutava il pane bianco, ne ordinava invece la distribuzione ai malati e ai feriti, mentre lui mangiava tranquillamente pane nero.
Si oppose con forza alla decisione del capo di stato maggiore prussiano, Hans Von Seeckt, di usare gas contro il nemico sul fronte orientale, pose un veto categorico all’assurdo piano dell’ammiraglio tedesco, Alfred von Tirpiz, nel 1917, che voleva bombardare e distruggere Venezia con i sottomarini. Quanto gli dobbiamo? Quale enorme debito di riconoscenza abbiamo noi italiani verso quest’uomo, incredibilmente assente da tutti i manuali scolastici…
Allo scoppio della rivoluzione comunista, fu l’unico a protestare ad alta voce, pubblicamente, ed ammonì Guglielmo II quando seppe della sua complicità con il rimpatrio clandestino di Lenin. Cercò in tutti i modi di salvare la vita allo Zar e ai suoi famigliari (nonostante le enormi responsabilità della Russia sullo scoppio del conflitto in chiave antiaustriaca), ma non fece in tempo a fermare l’orrore bolscevico di Ekaterinburg.
Al termine della guerra, le nazioni vincitrici imposero lo smembramento del grande impero sovranazionale degli Asburgo. Si determinarono così una miriade di staterelli, che presto sarebbero finiti in pasto al nazismo e al comunismo.

Avrebbe potuto finire diversamente, la sua storia, nel ’21 gli venne fatta l’offerta di ritornare al potere, offerta che veniva dai suoi più acerrimi nemici, tuttavia:
“Quello che ho ricevuto da Dio non lo posso accettare dalle mani del demonio”. Questo rispose l’Imperatore esiliato alla massoneria che governava maldestramente a Vienna e Budapest, la quale constatando come la situazione politico-sociale fosse allo sbando, propose a Carlo la restaurazione. A patto che Carlo si impegnasse a certificare una netta scristianizzazione del potere: introduzione del divorzio, scuola di Stato di netta impostazione laicista, e riconoscimento pubblico della massoneria.
Carlo seppe dire no ad un potere che sarebbe stato a quel punto puro arbitrio, non più servizio, non più difesa dei suoi popoli, non più difesa dell’uomo. Non avrebbe mai dato il suo consenso, non si sarebbe mai reso complice con il braccio secolare di Satana, la massoneria appunto.
Persa la guerra, perso l’Impero, perso tutto, Carlo non perse mai la fede. A tutti i costi volle presenziare al Te Deum del capodanno 1918-19. Molti erano stupiti nel vederlo così determinato e totalmente privo di odio o rancore nell’anno della sconfitta, ma Carlo non aveva dubbi: “l’importante è che i popoli abbiano ritrovato la pace, e per questo bisogna ringraziare Dio”.
La sconfitta e la dissoluzione del suo impero, l’esilio, un tentativo di restaurazione fallito per vile tradimento, quindi l’esilio definitivo a Funchal, nell’isola portoghese di Madeira, dove tutt’ora è sepolto.
Morì nella primavera del 1922 ad appena 34 anni. La sera del 27 marzo volle accanto suo figlio Otto, di soli dieci anni, anche se per pochi minuti: “ Povero ragazzo. Gli avrei risparmiato volentieri la visita di ieri. Ma era mio dovere chiamarlo, per l’esempio. E’ necessario che sappia in quale modo ci si comporta in simili situazioni, come Cattolico e come Imperatore”.
Queste le parole di Giovanni Paolo II del 3 ottobre 2004, il giorno della beatificazione:
“Il compito decisivo del cristiano consiste nel cercare in tutto la volontà di Dio, riconoscerla e seguirla. L’uomo di Stato e cristiano Carlo d’Austria si pose quotidianamente questa sfida. Ai suoi occhi la guerra appariva come qualcosa di orribile. Nei tumulti della Prima Guerra Mondiale cercò di promuovere l’iniziativa di pace del mio predecessore Benedetto XV.
Fin dall’inizio, l’Imperatore Carlo concepì la sua carica come servizio santo ai suoi popoli. La sua principale preoccupazione era di seguire la vocazione del cristiano alla santità anche nella sua azione politica. Per questo, il suo pensiero andava all’assistenza sociale. Sia un esempio per noi tutti, soprattutto per quelli che oggi hanno in Europa la responsabilità politica!”.
Una concezione del potere diversa, che ha come esempio Cristo che lava i piedi agli apostoli. Questo era l’Impero d’Austria, erede legittimo e continuatore dell’Impero Sacro e Romano.
Carlo dovrebbe essere un esempio da proporre ai giovani con forza e decisione. Soprattutto in un momento come questo.
In una delle sue ultime interviste, il figlio di Carlo, l’Arciduca Otto (1912 – 2011), ricordava la più bella lezione che l’amato padre gli aveva lasciato sul significato del potere:
“Mio padre conosceva i pericoli che l’attacco all’autorità dell’impero – fondata in nome di Dio – avrebbe causato ai suoi popoli.
Sapeva che quando con la Rivoluzione francese si proclamò la sovranità del popolo, penetrò nello Stato un elemento di totalitarismo, che avrebbe divorato gli Stati come un cancro e portato l’intera struttura del diritto naturale alla distruzione. Sapeva quanto è piccolo il passo tra la dichiarazione dell’illimitato potere del popolo e dell’uomo, e l’omicidio di massa legalizzato dei pretesi nemici, di classe o di razza.
Mio padre Carlo aveva chiara la necessità di riconoscere un limite al potere. Né un Re, né un dittatore, né un Parlamento o una maggioranza assoluta, hanno il diritto di calpestare i diritti inalienabili che l’uomo possiede per il fatto di essere stato creato ad immagine e somiglianza del Creatore”.
In un momento di Emergenza Uomo come quello di oggi, dobbiamo ricordare Carlo, non solo nelle nostre preghiere, dobbiamo ricordarlo a tutti, ricordare l’Imperatore Santo di cui l’Europa ha bisogno.

Patrizio Ricci

Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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