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Per la seconda volta nella storia dell’umanità, un oggetto terrestre raggiunge lo spazio interstellare. Voyager 2, dopo la sonda gemella Voyager 1 che aveva raggiunto questo traguardo nell’agosto del 2012, è uscita dall’eliosfera, la regione di spazio popolata da particelle e campi magnetici creati dal nostro Sole.
I membri del team della sonda Voyager 2 hanno condiviso oggi le conclusioni tratte dai dati letti in queste ultime settimane. Il giorno in cui si sono notate le maggiori differenze, rappresentando così la data formale di uscita dall’eliosfera, è il 5 novembre scorso. Il confine dell’eliosfera, noto come eliopausa, è il luogo dello spazio in cui il tenue e caldo vento solare incontra il denso e freddo mezzo interstellare. La sonda Voyager 1 aveva oltrepassato questo confine nel 2012, ma il fatto che anche Voyager 2 sia potuta arrivare a questo appuntamento ancora funzionante è di importanza fondamentale, per il fatto che quest’ultima ha ancora strumenti attivi che la sonda gemella non aveva più durante e dopo quell’evento. I rivelatori di vento solare a bordo della Voyager 1 hanno infatti smesso di funzionare nel 1990 e l’analoga strumentazione a bordo di Voyager 2 sta già fornendo e fornirà osservazioni senza precedenti in merito alla natura di questo passaggio attraverso l’eliopausa.
Voyager 2 si trova ora a più di 18 miliardi di chilometri di distanza dalla Terra, ma le comunicazioni con la sonda sono rimaste continue e regolari: gli esperti della missione contano ovviamente di mantenerle ben attive, proprio ora che diventano cruciali a seguito dell’entrata in questa nuova fase del viaggio. Alla distanza cui si trova, il segnale in arrivo dalla Voyager 2 impiega 16,5 ore per raggiungere la Terra. Per fare un raffronto, la luce irradiata dal Sole, distante circa 150 milioni di chilometri, impiega appena 8 minuti per raggiungerci.
L’evidenza più schiacciate dell’uscita di Voyager 2 dall’eliosfera è costituita dai dati raccolti dall’esperimento PLS (Plasma Science Experiment), uno strumento che ha cessato di funzionare sulla Voyager 1 già nel 1980, all’incirca durante il sorvolo di Saturno e ben 32 anni prima dell’arrivo all’eliopausa. Fino a tempi molto recenti, lo spazio nel quale viaggiava Voyager 2 era contraddistinto primariamente dal plasma proveniente dal Sole. Questo flusso, che caratterizza il vento solare, crea una sorta di bolla, chiamata eliosfera, che avvolge tutto il Sistema Solare. PLS usa la corrente elettrica generata dal plasma solare per rilevare la velocità, la densità, la temperatura, la pressione e il flusso del vento solare. PLS ha osservato un brusco calo nella velocità del vento solare a partire dal 5 novembre scorso. Da quella data in poi, PLS non ha più osservato flusso di vento solare nello spazio attraversato dalla Voyager 2, il che ha reso quasi certi i membri del team a proposito del fatto che la sonda avesse definitivamente varcato il confine dell’eliopausa.
Oltre al dato del plasma, il team ha avuto riscontri anche da tre altri strumenti a bordo della sonda: dal CRS (Cosmic Ray System), dal LECP (Low Energy Charged Particle) e dal MAG (Triaxial Fluxgate Magnetometer). I segnali di questa strumentazione sono tutti compatibili con la conclusione secondo cui Voyager 2 avrebbe lasciato l’eliosfera. Rispetto alla situazione parecchio compromessa della strumentazione della Voyager 1, si capisce come il team sia particolarmente eccitato all’idea di continuare le osservazioni con tutti i dispositivi funzionanti.
Tuttavia la comprensione del passaggio oltre l’eliosfera rimane “un lavoro di squadra”. Insieme, Voyager 1 e 2 stanno fornendo un quadro d’insieme il più preciso possibile su come l’eliosfera interagisca con il vento interstellare che fluisce dal suo esterno. E oltre alle due Voyager, anche un’altra missione, IBEX (Interstellar Boundary Explorer), fornisce dati complementari utili alla comprensione di questa interazione. La NASA sta anche approntando un’ulteriore missione (IMAP, Interstellar Mapping and Acceleration Probe), che dovrebbe allargare la squadra ed essere lanciata nel 2024 per comprendere a fondo e capitalizzare i dati raccolti dalle Voyager.
Ma se le sonde hanno lasciato l’eliosfera, non è ancora corretto affermare che abbiano lasciato il Sistema Solare e di certo non lo lasceranno nel breve termine. Si stima infatti che il confine vero e proprio del Sistema Solare sia collocato ben oltre il margine esterno della nube di Oort, la zona popolata da tutti quegli oggetti che non si trovano sotto l’influenza diretta della gravità solare. L’ampiezza della nube di Oort non è nota con certezza, ma si stima che possa estendersi sino a 100.000 unità astronomiche. Siccome un’unità astronomica corrisponde alla distanza tra la Terra e il Sole, ci vorranno circa 300 anni perché la Voyager 2 raggiunga il margine interno della nube e probabilmente non meno di 30.000 anni per superarla e arrivare al suo margine esterno.
Le sonde Voyager sono alimentate con generatori termici a radioisotopi (RTG) che utilizzano l’energia liberata dal decadimento radioattivo del plutonio-238. La potenza di questi generatori cala in ragione di 4 watt l’anno, il che implica come varie parti della strumentazione di bordo, incluse le fotocamere, sono state spente già da anni per poter gestire al meglio il consumo energetico. Il raggiungimento di questo traguardo ancora funzionanti, è quindi un risultato davvero importante per entrambe le sonde, in viaggio oramai da più di 41 anni.
Voyager 2 era stata lanciata il nell’agosto del 1977, 16 giorni prima della gemella Voyager 1: entrambe hanno viaggiato ben oltre le loro originali destinazioni originali. Erano state costruite per funzionare 5 anni e per condurre osservazioni ravvicinate dei sistemi di Giove e Saturno, ma le missioni non sono finite lì e sono stati aggiunti ulteriori sorvoli. Proprio la Voyager 2 è stata diretta verso Urano e Nettuno e mentre le sonde attraversavano l’intero Sistema Solare lungo due rotte completamente diverse, l’ingegno umano ha dato prova della sua straordinaria efficacia superando le capacità di cui le Voyager erano dotate alla partenza mediante una riprogrammazione remota. I due sistemi planetari da osservare sono diventati quattro, la vita attesa di 5 anni si è allungata a 41, trasformando le Voyager nelle missioni esplorative più longeve in assoluto.
Come ha avuto modo di dire Carolyn Porco, già membro dell’imaging team delle due missioni, Voyager 1 ha fatto dell’umanità una specie interstellare. Voyager 2 ha dimostrato che non è poi così difficile continuare su quella strada. La storia delle due sonde ha influenzato non solo intere generazioni di scienziati ed ingegneri, ma anche la stessa cultura terrestre nelle sue più svariate forme, inclusi il cinema, la musica, la letteratura e l’arte in generale. Ognuna delle sonde, peraltro, è già portatrice di cultura, trasportando un disco, il Golden Record, che veicola suoni, immagini e messaggi provenienti dal pianeta Terra. E siccome le Voyager sono gli ambasciatori più lontani del genere umano nello spazio, il loro viaggio potrebbe durare miliardi di anni e la loro presenza essere ad un certo punto l’unico testimone della nostra esistenza. Per questo, l’importantissimo traguardo raggiunto ora anche da Voyager 2 non è la fine di una missione e nemmeno il termine di un viaggio. E’ solo l’inizio di un nuovo capitolo dell’esplorazione umana.
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