GUERRA IN SIRIA/ Forse c’è una pace che mette d’accordo Israele, Putin e Trump La guerra in Siria finirà quando gli Usa vedranno realizzata una soluzione gradita a Israele. Ora si parla di un piano che potrebbe permetterlo. Riguarda le alture del Golan.
Patrizio Ricci – Sussidiario
La guerra in Siria finirà quando gli Stati Uniti vedranno realizzata una soluzione gradita al proprio alleato regionale strategicamente più importante, Israele, che rappresenta gli interessi statunitensi nell’area. Pertanto, è molto plausibile che la chiave di volta della fine del conflitto siriano sia un accordo di armistizio tra Siria ed Israele che nonostante gli accordi di cessate il fuoco firmati nel 1974, non hanno mai firmato un trattato di pace.
Questa ipotesi è contenuta in un documento ben articolato, pubblicato dal Washington Institute for Near East Policy ovvero dal più influente think tank statunitense focalizzato sulla politica estera degli Stati Uniti in riferimento ai paesi del Vicino Oriente. In particolare, il documento intitolato A Strengthening Shiite Axis Paradoxically Gives Peace between Syria and Israel a Chance, redatto dall’esperto israeliano Huri Halperin (già consigliere di intelligence del primo ministro israeliano), offre una soluzione del conflitto siriano che potrebbe avvenire secondo la formula “land-for-money”. L’intesa prevederebbe un aiuto consistente dello Stato ebraico per la ricostruzione della Siria, previa accettazione da parte del governo siriano della cessione delle alture del Golan. Si chiuderebbe così un contenzioso territoriale che va avanti da decenni e che è il principale ostacolo alla pace tra i due paesi.
Se Damasco accettasse un tale accordo, Israele acconsentirebbe al “limitato ritiro [del proprio esercito] da sezioni di territori particolari, e in particolare dall’area delle Shaaba Farms” (una striscia di terra montuosa, 11 km per 2,5 km in una intersezione tra Siria, Libano ed Israele).
Il ritiro da tale zona potrebbe sottrarre “un importante elemento alla narrazione dell’asse sciita”. Oggi infatti “Hezbollah presenta le fattorie — che sono rivendicate come territorio sia dal Libano che dalla Siria ma che sono occupate da Israele dal 1967 — come un pretesto importante per la propria lotta contro Israele”. In questo modo “Hezbollah, che caratterizza la propria aggressione contro Israele come partecipante a una disputa territoriale tra Israele e Libano, perderà un significativo punto di discussione una volta che Israele si ritirerà da queste aree di conflitto”.
Ciò mitigherebbe la possibilità di una nuova escalation, giacché è noto che caduta la possibilità di un “regime change” in Siria, la preoccupazione israeliana si è ora concentrata sulla presenza iraniana in Siria. In proposito, a onor del vero, è doveroso un insight: è bene ricordare che gli iraniani non sarebbero mai venuti in Siria senza l’aggressione esterna operata contro Damasco. Comunque sia, ora in questo contesto gli interessi russi e siriani potrebbero coincidere perché permettendo “un insediamento sulle alture del Golan”, la possibilità di “un’ulteriore escalation con l’Iran e le sue forze delegate potrebbe essere mitigata”.
Ma veniamo al punto cruciale: Helperin è certo che “se questo modello si realizzasse, Israele accetterebbe una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che porrebbe ufficialmente fine al conflitto”. Il piano prederebbe anche l’accettazione da parte della Siria della “smilitarizzazione globale per garantire la sicurezza lungo il nuovo confine”.
Va da sé che “un confine sicuro e normalizzato nella regione del Golan come parte di una soluzione pacifica della guerra civile siriana sottrarrebbe gran parte degli argomenti di attrito” e “ridurrebbe significativamente le tensioni militari tra Israele e Siria e tra le potenze regionali e globali in Medio Oriente”.
L’ex funzionario israeliano precisa che in una tale prospettiva “l’establishment politico israeliano potrebbe essere insolitamente ricettivo nei confronti di un accordo, in particolare uno promosso da Stati Uniti e Russia”.
Inoltre, lo stesso considera che sebbene “la normalizzazione con Israele è stata tradizionalmente anche un punto di contesa per gli altri stati arabi”, questo particolare momento storico faciliterebbe non poco l’attuazione di un simile compromesso. Infatti, “è meno probabile che altri stati arabi possano fare obiezioni serie ad un accordo al momento attuale” visto che “l’Egitto sta lavorando per costruire legami più stretti con la Russia, mentre l’Arabia Saudita e i suoi partner sul golfo stanno sempre più presentando Israele come partner strategico contro una più ampia minaccia iraniana”.
Di conseguenza, la formula “land-for-money” avrebbe il vantaggio di consentire non solo la riconciliazione tra Israele e Siria ma anche di facilitare la risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Ciò porterebbe ad “una più ampia riconciliazione tra il mondo arabo e Israele, fornendo una struttura regionale più ampia a una soluzione pacifica a due stati tra Israele e i palestinesi”.
Oltre tutto — assicura Halperin — la pacificazione con Israele attraverso la formula “land-for-money” rappresenta “un’opportunità per un significativo reinsediamento dei rifugiati e attenuerebbe gli impatti negativi a livello finanziario e sociale su Europa, Giordania, Turchia e Libano”.
La cessione delle alture del Golan era già stata prospettata un anno fa da Trump e “la discussione nel merito, era passata già ai vari livelli”. Certo la prospettiva di una pace mercanteggiata per molti non sarà esaltante, ma l’offerta alternativa della comunità internazionale all’indomito popolo siriano, è nient’altro che un pozzo senza fondo.
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