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Persino leggendo tra le righe degli ultimi rapporti Goldman Sachs si legge chiaramente che l’attuale situazione di esagerati rendimenti finanziari non è sostenibile. La grande banca d’investimenti, che per definizione ha un approccio spregiudicatamente ottimista verso gli effetti miracolosi del mercato, rivela seppur con messaggi contraddittori e fumosi che nel mercato si registrano segni preoccupanti, storicamente visti solo alla vigilia della Grande Crisi del ’29. Un monito da non sottovalutare, per chi insiste ostinatamente a dire che la crisi sia ormai alle spalle e persista solo come percezione alimentata dalle cosiddette “fake news”.
di Tyler Durden, 29 novembre 2017
Alla Goldman Sachs non cambiano mai.
Il principale stratega azionario di Goldman, David Kostin, aveva recentemente previsto tre anni di mercato in rialzo da “esuberanza razionale“, alzando il target di riferimento per il 2018 dell’indice S&P da 2.500 a 2.850 fino a raggiungere 3.100 nel 2020, e aveva affermato che, qualora l’esuberanza fosse diventata “irrazionale”, il prezzo base S&P sarebbe potuto arrivare fino a 5.300 entro la fine del 2020. Una settimana dopo Christian Mueller-Glissmann, un altro stratega Goldman, ha deciso che fosse invece meglio vestire i panni del poliziotto cattivo e prepararsi ad ogni evenienza.
Così, in un rapporto pubblicato martedì scorso e intitolato “The Balanced Bear – Part 1: Low(er) returns and latent drawdown risk” [L’orso equilibrato – Parte 1: Rendimenti (più) bassi e potenziali rischi di declino, ndt] questo tipico rappresentante della Goldman, ora improvvisamente divenuto ribassista, avverte che, nel medio periodo, si profilano due possibili scenari: i) uno di “lenta sofferenza” deflazionistica, caratterizzato da bassi rendimenti e valutazioni elevate “persistenti a causa della stabilità macroeconomica, ma con meno guadagni imprevisti dati da aumenti delle valutazioni e con minori trasferimenti – e di conseguenza, con rendimenti da attività probabilmente inferiori”, oppure ii) uno svalutativo a “rapida sofferenza” dove “una crescita reale negativa o uno shock inflazione/tassi d’interesse, o una combinazione di entrambi, trainerebbe una svalutazione nei portafogli 60/40“.
Se siete confusi, non preoccupatevi – non siete i soli. Mentre da un lato Goldman non prevede nient’altro che cieli sereni nel “medio periodo” per i prossimi tre anni, esclude qualsiasi recessione e prospetta un rialzo a doppia cifra dei guadagni azionari, dall’altro lato la stesso Goldman prevede anche uno scenario di sofferenze “lente” o “rapide”, che pur essendo due cose diverse, hanno in comune un elemento fondante (come suggerisce il nome): “la sofferenza”.
Se il fatto che la Goldman si contraddica da sola non è una novità, restano comunque delle perplessità. Tenendo conto che gli “studi” rivolti alla clientela sono ovviamente risibili e volti a far sì che i clienti facciano l’opposto di quello che fanno i trader interni della Goldman, non è però ben chiaro da quale lato la Goldman abbia scelto di scommettere per i propri investimenti interni. Non è chiaro, insomma, se la banca stia puntando su una CDO e stia mettendosi in posizione short su tutte le attività vendute ai propri clienti, oppure se abbia assicurato un ulteriore rialzo del S&P, anche se le valutazioni “non hanno ormai più senso”, per citare la stessa Goldman.
Noi non siamo in posizione di, né siamo interessati a, rispondere. Per chi lo fosse, questo è un sunto delle parole di Mueller-Glissmann:
Riteniamo che un periodo di rendimenti bassi o decrescenti (scenario 1) sia più probabile di un mercato fortemente in ribasso nei portafogli 60/40 (scenario 2), almeno nel breve periodo. Ma probabilmente vi sarà un periodo di riequilibrio, caratterizzato da crescita rallentata e aumento dell’inflazione. Ed ai bassi livelli di rendimento attuali, oltre al fatto che ci troviamo ormai al ‘principio della fine del QE’, i titoli di Stato potrebbero essere meno efficaci per la copertura delle azioni, e costituire un peso maggiore sui portafogli bilanciati. Inoltre, l’aumento dell’inflazione potrebbe spingere la banca centrale a emettere “più out of the money“, il che richiederebbe alle banche centrali un maggiore “shock di crescita” per facilitare politiche espansive. Anche le attuali misure espansive a disposizione delle banche centrali sono più limitate poiché i tassi sono ancora bassi e gli acquisti di QE sono appena stati ridotti.
E in caso di ribasso bilanciato, potrebbero acuirlo e velocizzarlo. Il rischio di duration nei mercati obbligazionari è molto più alto durante questo ciclo e il volatility of volatility del volume azionario è aumentato a partire dalla metà degli anni ’80. Anche se si ritiene che gli investitori dovrebbero ridurre la duration e gestire allocazioni azionarie più elevate nello scenario 1, allo stesso tempo essi dovrebbero prendere in considerazione garantire almeno il rischio di riduzioni azionarie minori nel breve periodo. Gli spread S&P 500 a scadenza più breve sembrerebbero un segnale positivo. Nella seconda parte vengono analizzate diverse strategie per migliorare i rendimenti di portafoglii bilanciati, gestendo al tempo stesso il rischio di drawdown in caso di un mercato in ribasso.
Alla fine, come ogni altra previsione partorita dalla Goldman, si tratta di spazzatura: chi preferisce un mercato al rialzo legge Kostin; chi lo preferisce in ribasso – di poco o molto – preferisce Glissman. L’importante è che si rivolga comunque ai simpatici consulenti Goldman, che incasseranno volentieri le commissioni di qualunque operazione si scelga di fare.
Detto questo, il pdf di 26 pagine offre quantomeno un dato interessante: un grafico che mostra che non solo questo è il più lungo periodo in ribasso 60/40 senza un drawdown di ritorno del 10%, ma anche che l’ultima volta che ciò si è verificato è stato più o meno alla fine anni ’20 … e la Grande Depressione sarebbe seguita di lì a pochi mesi.
Nelle parole della Goldman: “ci stiamo avvicinando al più lungo periodo di mercato in ribasso 60/40 della storia – dal 2009 non c’è stato un drawdown del 10% in termini reali. I portafogli passivi bilanciati long-only hanno prodotto interessanti rendimenti ponderati per il rischio dagli anni ’90 Un favorevole contesto macroeconomico ideale, sostenuto dalla “Grande moderazione” e dalle banche centrali, ha incrementato i rendimenti sia azionari che obbligazionari, tuttavia, dopo il recente “mercato al rialzo totale”, le valutazioni su tutte le attività sono le più alte mai viste questo secolo, il che riduce il potenziale di rendimento e diversificazione nei portafogli equilibrati.Altri dati:
Ci stiamo avvicinando al più lungo periodo di mercato al rialzo per i portafogli bilanciati in titoli azionari/obbligazionari in oltre un secolo: nessun portafoglio standard 60/40 (60% S&P 500, 40% titoli di Stato a 10 anni) ha sperimentato un drawdown di oltre il 10% dal punto più basso del GFC (8,7 anni), e da allora i rendimenti prodotti sono stati su una media del 143% (11% annuo)”.
E quando è stata l’ultima volta che portafogli bilanciati hanno sperimentato rendimenti così straordinari? Goldman risponde ancora:
“Il periodo più lungo è stato durante i ruggenti anni ’20, poi terminato con la Grande Depressione, Il secondo periodo più lungo è stato il boom del dopoguerra negli anni ’50 – il periodo degli anni ’90 era al terzo posto, ma oggi è passato al quarto, dopo quello corrente.”
Il altre parole, per vedere rendimenti simili a quelli generati oggi da un portafoglio bilanciato “60/40” bisogna tornare all’inizio dell’anno 1929. Attualmente ci troviamo in periodo ininterrotto di rendimenti sbalorditivi senza un drawdown totale del 10% da 8.7 anni. E quanto è durato il simile periodo di riferimento degli anni ’20? 9,1 anni. Il che significa che, se la storia ci insegna qualcosa, una nuova, spaventosa Grande Crisi è appena dietro l’angolo.
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