Oltre il velo: decifrare il cambiamento globale e il futuro dell’Agricoltura

Vi propongo con un interessante articolo dal blog dela scrittrice Sonia Savioli, intitolato “L’agricoltura industriale si ribella a sé stessa“. Attraverso un’analisi dettagliata e supportata da una vasta gamma di fonti bibliografiche, l’autrice analizza la complessa distinzione tra “agricoltori” in senso tradizionale e quelli operanti all’interno dell’agricoltura industriale. Questa distinzione sottolinea una realtà multifaccettata, dove le proteste legittime dei piccoli agricoltori si intrecciano con gli interessi dei grandi conglomerati.

La Savioli ci guida in una riflessione approfondita sulle motivazioni dietro queste proteste, evidenziando come l’Unione Europea stia attuando un’ampia strategia trasversale, inclusa l’agricoltura, guidata da una visione ideologica con radici ‘molto materiali’. Questa strategia emerge da un desiderio di ristrutturare il pianeta sotto l’egida di poche élite, che si arrogano il diritto di guidare il cambiamento in nome di un presunto “bene superiore”.

Il programma globale attualmente in corso, sostenuto dai maggiori centri di potere internazionali, mira a trasformare radicalmente l’umanità, liberandola dai suoi vincoli tradizionali attraverso un’ampia riorganizzazione a livello mondiale. Questo processo richiede un consenso quasi universale, spingendo le persone a conformarsi a nuove norme e valori. Entità come l’Unione Europea si sono arrogate il compito di guidare questa trasformazione, adottando strategie di persuasione di massa e, quando necessario, utilizzando la paura come strumento per ottenere l’adesione della popolazione ai loro piani.

Al fondo, l’attuazione del programma permetterebbe l’assorbimento di una situazione finanziaria esplosiva, che vede una grandissima mole di danaro costituita da debiti e strumenti finanziari che non hanno corrispettivi materiali, ovvero di un drenaggio delle classi sociali più povere a favore di chi si è fatto carico del cambiamento globale. Ovviamente, anche l’agricoltura viene ri-plasmata in funzione di questo cambiamento. È bene quindi non essere ingenui e capire anche alcuni meccanismi subdoli che si insinuano nella protesta in atto, che comprende giuste istanze dei piccoli agricoltori ma anche la rappresentazione dei grandi interessi delle multinazionali.

Tuttavia, questa visione è priva di una prospettiva trascendente e ed animata dal desiderio di liberare l’umanità dai suoi vincoli naturali attraverso una evoluzione ipertecnologica, senza considerare le conseguenze.

L’articolo mette in luce come, in questo contesto, l’agricoltura venga rimodellata per servire questi obiettivi di cambiamento, quindi indirettamente invita i lettori a non cadere nella trappola dell’ingenuità. È essenziale riconoscere i meccanismi sottili che si celano dietro le proteste attuali, che includono sia le legittime rivendicazioni dei piccoli produttori sia gli interessi delle multinazionali.

In conclusione, Savioli non suggerisce di ritirare il nostro supporto alle cause agricole, ma piuttosto di approfondire la nostra comprensione delle dinamiche in gioco. È fondamentale essere informati e consapevoli delle forze che modellano il futuro dell’agricoltura, per poter esercitare un pensiero critico in questo panorama complesso:

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Dairy farmers protest, Brussels, 5th of Oct. 2009” by Teemu Mäntynen is licensed under CC BY-SA 2.0

L’agricoltura industriale si ribella a sé stessa

di Sonia Savioli – il cambiamento

CHI SONO?

Non sono contadini. Infatti, li chiamate agricoltori, ma fareste meglio a chiamarli agroindustriali perché questo sono la maggior parte dei proprietari o affittuari di terre agricole nell’Europa occidentale.

Cosa fabbricano gli agroindustriali europei? Ecco qualche esempio: in Francia 12 milioni di maiali; in Germania 21 milioni di maiali, 11 milioni di bovini, 160 milioni di polli, in Italia 71 milioni di polli, in Spagna 34 milioni di maiali, nella piccola Danimarca 33 milioni di maiali… (1) e potremmo andare avanti ancora a lungo elencando milioni e milioni di animali per il novanta e passa per cento prigionieri degli allevamenti intensivi: inquinanti, energivori, sovvenzionati, oltre che inumani.

Tutti questi milioni di vittime innocenti dell’agroindustria ci danno, ovviamente, da mangiare, come dicono gli agroindustriali ribelli, se non ce ne frega niente delle povere creature torturate e se non abbiamo paura di imbottirci di antibiotici, ormoni, mais e soia OGM con cui vengono nutriti quotidianamente. Però, di queste centinaia di milioni di corpi noi ne mangiamo solo una piccola parte: teste, zampe e interiora nutrono i nostri cani e gatti e, in forma di farine animali, gli stessi prigionieri degli allevamenti intensivi.

Questa è una delle “filiere” dell’industria agricola, che nell’Unione Europea riceve circa 30 miliardi l’anno di sussidi. A proposito di concorrenza sleale. E faremmo bene a ricordarci che quei trenta miliardi arrivano dalle nostre tasche: dalle tasse dei cittadini europei.

Un altro esempio della stessa “filiera” industriale: oltre il 63 % delle terre coltivate nell’Unione Europea produce mangime per i prigionieri dei lager intensivi, detti allevamenti; l’82% del mais prodotto in Italia diventa mangime per gli allevamenti intensivi. (2)

Quanto tempo è che non mangiate un piatto di polenta? E vi siete mai chiesti a cosa servano quelle distese infinite di mais, quando attraversate la pianura padana? A nutrire, per esempio, vacche da latte che producono cinquanta-sessanta litri di latte al giorno, chiuse nei capannoni, con mammelle ipertrofiche e che, quando partoriscono, non fanno nemmeno in tempo a vedere il proprio vitello, il quale viene immediatamente spostato in una gabbia e nutrito con latte artificiale per il tempo (poco) necessario perché sia pronto ad andare al macello e diventare fesa o arrosto di vitello, o a partire su un camion per essere trasferito nel capannone di un altro Paese, dove verrà ingrassato fino al peso considerato redditizio per un manzo e poi riprenderà il lungo viaggio di ritorno verso il macello del Paese dove è nato.

Magari non lo sapevate.

CI DANNO DA MANGIARE O DA BERE?

In Italia ci sono 674.000 ettari di vigna e solo 400.000 ettari di ortaggi. Ma non perché noi italiani si beva più di quanto si mangi, è perché esportiamo ogni anno 22 milioni di ettolitri di vino (2 miliardi e 200 milioni di litri) (3)

Vendiamo Prosecco ai cinesi, Chianti ai tedeschi, agli statunitensi, agli australiani…

Per quelle vigne sono state sventrate colline, distrutti boschi e terrazzamenti, spiantati oliveti e frutteti: tutte coltivazioni che davano davvero da mangiare, boschi che nutrivano la terra e mitigavano il clima, terrazzamenti che impedivano l’erosione dei suoli. Ma non permettevano le lavorazioni veloci con pochi lavoratori e grossi macchinari; lavorazioni fatte in moltissimi casi dalle aziende agromeccaniche che, vedremo dopo, fanno anch’esse parte della categoria “agricoltura”. A proposito del cibo-vita.

Poi importiamo patate dall’Argentina e aglio dall’Egitto, olio dalla Tunisia… Ogni anno importiamo tra i 5 e i 7 milioni di tonnellate di patate (7 miliardi di chili) e 1 milione e mezzo di tonnellate di ortaggi. (4)

E’ vero che in molti casi si tratta davvero di concorrenza sleale, perché buona parte di queste merci arriva a prezzi infimi da paesi dove i lavoratori sono meno che schiavi, ma… la stessa cosa vale per la soia e il mais importati e comperati dagli “agricoltori” europei per nutrire i prigionieri degli allevamenti intensivi.

CONCORRENZA SLEALE?

Per la filiera allevamento intensivo degli agroindustriali Europei, in prevalenza occidentali, in Europa si importano ogni anno 11 milioni di tonnellate di mais, 36 milioni di tonnellate di soia. In Italia si consumano 10.000 tonnellate AL GIORNO di soia OGM importata e 100.000 tonnellate all’anno di mais OGM importato. (5)

Ma queste importazioni, di prodotti OGM che vengono da paesi come il Brasile o l’Argentina, dove non solo gli operai agricoli non sono tutelati da nessun punto di vista, né salariale né sanitario, ma dove spesso si sono bruciate foreste e anche villaggi indigeni, deportandone la popolazione e uccidendo chi si ribellava, per coltivare soia e mais OGM su spazi immensi, non sono messe in discussione dagli industriali agricoli, detti “agricoltori”. Tutta questa “agricoltura” del terzo mondo serve a nutrire maiali, vacche, polli “fabbricati” nei capannoni.

Per questa industria agricola l’ideale non è la piccola azienda, che infatti sta scomparendo in Europa occidentale; l’ideale è la medio-grande e la grande, che si sta ingrandendo sempre più e che riceve la maggior parte dei sussidi e degli incentivi.

A proposito di concorrenza sleale.

IL GASOLIO E’ COME IL PANE.

Per chi? Non per il piccolo contadino biologico che, per coltivare qualche ettaro di frutteto o oliveto, di patate o di cereali e un orto, o allevare cento galline ruspanti, di gasolio ne consuma ben poco, e a volte rinuncia anche ai sussidi perché trova troppo onerose le regole burocratiche per accedervi.

Il gasolio agevolato è fondamentale per le industrie agricole, che ne consumano tonnellate ogni mese, e che delle regole burocratiche non se ne preoccupano perché hanno uffici e dipendenti che possono pensare anche a quello.

Tra queste imprese ci sono quelle denominate “agromeccaniche”. Chi sono costoro?

Sono imprese che, con enormi trattori, scavatori, ruspe, mietitrebbia e altri macchinari (sovvenzionati dagli Stati e dal superstato Unione Europea) lavorano temporaneamente o permanentemente le terre appartenenti ad altri, che però risultano, come loro, “agricoltori”.

In Italia, ce lo dicono gli stessi agromeccanici, i due terzi delle superfici agricole vengono lavorati da loro, e il 10 % (1 milione e 200.000 ettari) è affidato a loro permanentemente. Vi ricordo che un ettaro sono 10.000 metri quadri. In Italia queste imprese posseggono 75.000 trattori, e non sono trattori come quelli dei piccoli contadini. Dunque non ci meraviglieremo che nel nostro paese ogni anno vengano “agevolati” 2 miliardi di litri di gasolio. (6)

E poi la chiamano agricoltura! E parlano di concorrenza sleale!

SEMPRE A PROPOSITO DEL CIBO-VITA.

Adesso c’è anche l’agrivoltaico. Un’altra sovvenzionata opportunità per l’industria agricola. Nel 2021 in Italia c’erano già 152 chilometri quadrati (15.200 ettari, 152 milioni di metri quadri) di terre agricole rubate all’agricoltura ma considerate sempre agricoltura. E sovvenzionate. (7)

COSA VOGLIONO?

Vogliono i soldi e non vogliono limitazioni.

Ci sarebbe molto da criticare nella politica agricola dell’Unione Europea ma questi ribelli, in parte in malafede e in parte strumentalizzati, criticano sostanzialmente quelle scarse e timide proposte che vanno nel senso di diminuire, di pochissimo, l’inquinamento causato dall’industria agricola.

I contadini, fino agli anni cinquanta, in Italia praticavano la rotazione nelle colture cerealicole, alternandole con leguminose e foraggio: i cereali impoveriscono il terreno, le leguminose lo arricchiscono. Gli agroindustriali rifiutano di mettere a riposo ogni anno il 4% del loro terreno seminativo.

In Olanda, un paese ricco con poco più di 17 milioni di persone, si allevano intensivamente 11.300.000, undici milioni e trecentomila!, maiali ed esiste il più grande allevamento di polli del mondo: un capannone grattacielo dove soffrono e muoiono 1 milione di polli, esseri viventi trattati peggio e considerati meno di quanto in un’industria manifatturiera vengano considerate le merci prodotte.

L’Olanda esporta la maggior parte dei prodotti agricoli che produce, domandatevi dunque da quali accordi commerciali internazionali si vogliano proteggere i finti agricoltori. I contadini in Olanda sono estinti da tempo e gli agroindustriali, detti “agricoltori”, sono ricchi, sono i più ricchi d’Europa, e il reddito medio, al netto delle spese e delle tasse, di un’azienda agricola olandese supera gli 80.000 euri l’anno. (8)

Nel 2020 nell’Unione Europea si consumavano 468.000 tonnellate di pesticidi, 468 milioni di litri di veleni a impestare terra, acqua e aria. Nel 2017 nei paesi dell’UE venivano sparse sui terreni 49.000 tonnellate di glifosato, sostanza cancerogena e gravemente tossica, che la Commissione Europea ha rifiutato di vietare, approvandone l’uso per altri dieci anni. (9)  Una vittoria degli agricoltori?

I quali vogliono che siano eliminati dalla PAC tutti gli scarsi divieti o limitazioni sull’uso dei pesticidi e diserbanti.

I ribelli sono contro la strategia dell’Unione Europea Dal campo alla forchetta (From farm to fork) che ambisce a raggiungere entro il 2030 lo scarso obiettivo del 25% di agricoltura biologica.

Gli agroindustriali francesi “ribelli” chiedono l’abolizione persino delle distanze di sicurezza dalle abitazioni per l’irrorazione dei pesticidi, vogliono riprendere a usare quei neonicotinoidi che sono stati provvisoriamente vietati perché uccidono le api e gli insetti impollinatori. (10)

CHI C’E’ DIETRO? E CHI C’E’ DAVANTI?

Non per essere complottisti, ma la domanda chiave in ogni situazione politica è Cui prodest? e, dato che le più grandi venditrici di pesticidi e concimi chimici in UE sono le multinazionali Syngenta, Bayer-Monsanto, Corteva, BASF, sicuramente uno zampino le quattro, e tutte le altre del settore-veleni, ce lo stanno mettendo. Per le multinazionali si tratta davvero di vita o di morte, dato che perdere anche solo il 4% dei profitti significa perdere miliardi, e si sa quanto siano attaccate ai miliardi le multinazionali: i miliardi sono il loro cuore e le loro budella, e senza non possono vivere. Però, per avere la prova di chi c’è dietro, basta guardare chi c’è davanti.

Un esempio significativo, la Francia.

La più grande e grossa organizzazione francese degli agroindustriali, che sta promuovendo e organizzando le proteste è la FNSEA. Presidente della FNSEA è tale Armand Rousseau, padrone di un’azienda di 339 ettari , mentre la sua consorte è padrona di un’azienda di 700 ettari. E cosa producono in questi 1039 ettari il Rousseau Arnaud e consorte? Mangimi per gli allevamenti intensivi e biodiesel.

L’Arnaud si è laureato alla European Business School di Parigi (traduco: Scuola Europea di Affari-Finanza); è stato, tra l’altro, un finanziere in “valori agricoli”, e infine, sorpresa sorpresa!, è dirigente della multinazionale agroindustriale francese AVRIL, che si occupa di commerciare prodotti chimico-sintetici ed energetici, che produce 11 milioni di tonnellate di biodiesel con le colture che dovrebbero “darci da mangiare”, che ha lanciato la produzione di biodiesel da grasso animale (se dovesse svilupparsi, avremo gli allevamenti di animali da biodiesel), e che ha entrate annue di oltre 7 miliardi di euri. (11)

Un agricoltore?

E ALLORA?

L’agricoltura industriale europea vuole che si proteggano i propri prodotti dalla concorrenza dei prodotti che arrivano dai paesi schiavi e subordinati, ma non vuole che vengano protetti i prodotti agricoli di quei paesi che servono alla loro “filiera”. Il pollimilionario olandese non ha mille ettari di seminativo con cui nutrire le proprie vittime pennute, i mille ettari sono in America Latina o forse in Asia o in Africa, dove i lavoratori sono pagati una cocuzza e così il mangime costa due cocuzze.

E’ indicativo e rivelatorio il fatto che coloro che minacciavano di galera operai, ambientalisti, oppositori della dittatura pandemica progettata dal Forum Economico Mondiale, se avessero bloccato le strade o manifestato senza autorizzazione, oggi inneggino ai blocchi stradali degli agroindustriali. Che sicuramente otterranno di poter inquinare come sempre, dato che le multinazionali dei pesticidi e del petrolio sono al loro fianco.

I piccoli e medi agricoltori, trascinati nella protesta dall’esasperazione per norme sanitarie e burocratiche studiate apposta per distruggerli, per i prezzi dei grossisti e della grande distribuzione che li strangolano, stanno dando fiato e corda proprio ai loro nemici. A coloro che hanno migliaia di ettari di terra e che non ricevono alcun danno da quelle norme che stanno strangolando i piccoli ma che, anzi, le hanno dettate ai governi per eliminarli, perché i piccoli e medi agricoltori sono loro concorrenti; a coloro che ottengono sgravi fiscali come società, fondazioni, multinazionali, cooperative fasulle create per sfruttare i dipendenti; a coloro che hanno in mano intere filiere dell’agroindustria e sono compartecipi della grande distribuzione; a coloro che la globalizzazione l’hanno voluta e perseguita per sfruttare uomini e terre del terzo mondo.

La vera minaccia per gli agricoltori europei è stata ieri l’eliminazione di quelle barriere doganali che proteggevano i loro prodotti, proteggendo nel contempo contadini e prodotti di Africa, Asia, America Latina. Ma quando i noglobal lottavano contro quella minaccia, gli agroindustriali erano dall’altra parte della barricata, le europee organizzazioni degli agricoltori erano assenti. C’erano i contadini del terzo mondo e le loro organizzazioni, a fianco degli ecologisti.

Le vere minacce oggi per l’agricoltura sono i cambiamenti climatici, la siccità, l’erosione dei suoli. Ma i “ribelli” lottano proprio contro quegli scarsi e insufficienti provvedimenti che puntavano a far fronte a tali minacce.

L’inevitabile crisi economica è alle porte e siamo nel pieno ormai della crisi ambientale. Il capitalismo non esiterà a strumentalizzare i problemi e i disagi di qualsiasi categoria per i propri interessi e scopi: non esita nemmeno a fomentare guerre. Del resto, lo ha sempre fatto e tanto più quando è in crisi, come ora.

Purtroppo, gli agricoltori dell’Europa occidentale ormai, nella loro maggioranza, dipendono dall’agroindustria e ne fanno parte: sono stati inglobati in un sistema perverso che li sfrutta ma che anch’essi utilizzano. Il capitalismo non ha morale, è un sistema amorale che ha l’unico scopo di accrescere illimitatamente il proprio profitto e il proprio potere ma, se si accettano le sue regole e si entra nel suo sistema, sperando di trarne vantaggio e diventando, inevitabilmente, amorali, non si può pretendere poi di moralizzare il sistema per i propri interessi, quando il vantaggio non c’è più.

La sopravvivenza dei piccoli e medi agricoltori può essere garantita solo se essi torneranno ad essere contadini, e non più industriali. Solo se usciranno dal sistema che li sta sterminando pur nutrendoli, come succede agli animali negli allevamenti intensivi. Questo significa convertirsi a metodi rispettosi dell’ambiente come il biologico, il biodinamico, la permacoltura, l’agricoltura naturale, l’agroforesteria. Sono tutti modi di coltivare la terra che hanno spese molto minori e rese molto maggiori, che richiedono meno ore di lavoro, meno macchinari e lavorazioni, meno acqua, zero pesticidi e fertilizzanti chimici; che rispettano la terra e la vita, che la arricchiscono invece di distruggerla.

La loro sopravvivenza dipenderà anche dalla solidarietà, tra di loro e con i consumatori, che significherebbe unirsi in vere cooperative per vendere i propri prodotti direttamente ai cittadini, significherebbe utilizzare macchinari, edifici, strumenti senza bisogno di comperarli o realizzarli individualmente. Significherebbe una maggiore ricchezza anche dal punto di vista umano e sociale. Allora non avrebbero più bisogno del mais e della soia OGM importati da Brasile e Argentina, né di esportare Prosecco e pomodori, e potrebbero concentrare i loro sforzi per lottare, uniti ai consumatori e ai contadini del terzo mondo, contro i trattati di libero scambio.

Altrimenti, rimarranno solo gli agroindustriali-finanzieri che, se la terra non darà più frutti, potranno sempre coprirla di pannelli fotovoltaici o di capannoni per le colture idroponiche o per gli allevamenti di insetti da macinare per nutrire cani e gatti, maiali e polli intensivi e, perché no, anche gli umani, magari con merendine di farina di insetti per i bambini o porcheriole croccanti, fritte in olio di palma, per gli apericena.

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