UE – Le violazioni rapporto deficit/Pil dal 1999 al 2017

di Alberto Bagnai  Source link: Goofynomics

(…dopo avervi parlato delle regole, mi sembra opportuno parlarvi delle violazioni. La discussione generale, in cui interverrò fra un paio d’ora, mi rende consapevole del fatto che molti miei colleghi non hanno chiaro come stiano le cose in “Leuropa”. Vale la pena di ricordarlo a loro, ma forse anche a voi…)

Questo grafico riporta il numero di violazioni della regola del limite del 3% al rapporto deficit/Pil registrate dal 1999 al 2017 nei paesi inizialmente membri dell’Eurozona:

Violazioni

Pierini e santommasi trovano qui i dati coi quali la figura è stata costruita:

Dati

 

Direi che i dati si commentano da soli. Sul podio di questa classifica non troviamo l’Italia, ma, senza particolare sorpresa, Portogallo e Grecia, che questa regola non l’hanno praticamente mai rispettata, e Francia, che non l’ha rispettata quasi mai.

Chiedersi perché la Francia sia stata esentata sarebbe ingenuo: le regole si applicano ai nemici e si interpretano per gli amici, e la Germania non è nostra amica (ma non lo è nemmeno della Francia, e nemmeno di se stessa). Forse può essere più interessante chiedersi perché “Leuropa”, che è così sollecita nel difenderci da noi stessi imponendoci politiche procicliche in recessione, non lo sia stato altrettanto con Grecia e Portogallo, e abbia lasciato indebitare questi paesi fin dall’inizio oltre i limiti del sostenibile, con deficit in media oltre il 5%. La risposta anche qui è ovvia per chi abbia seguito il nostro lavoro: qualcuno (i creditori del Nord) ci trovava un tornaconto, e sapeva che, essendo too big to fail, qualcun altro (noi) a buon bisogno ci avrebbe messo i soldi per rimediare.

Osservo che le otto violazioni dell’Italia sono una prestazione molto migliore delle tredici della Francia, e sono parenti prossime delle sette della Germania. Eh già, sette! Ah, perché voi pensavate che la Germania fosse immacolata? No. Lo è (notoriamente) il Lussemburgo.

La morale della favola è che noi italiani, in media, l’Europa di Maastricht possiamo permettercela più di tanti altri, a partire dal paese da cui proviene chi oggi ci fa le lezioncine e gestisce il negoziato (la Francia). Questo naturalmente non vuol dire che essa abbia un senso. Non ce l’ha per i tanti motivi su cui ci siamo intrattenuti negli anni e che la discussione generale sta rendendo palesi. Ma i correttivi apportati per rendere meno “stupide” le sue regole (Prodi dixit), cioè l’insensato riferimento a un “non concetto” come il Pil “potenziale”, e a cascata ai saldi “strutturali”, l’hanno peggiorata notevolmente. Anziché “adattarle alla necessità del ciclo economico” per attenuarlo, lavorano per amplificarlo, come ormai è palese.

Ora, immaginatevi un negoziato con l’Europa gestito non da Moscovici, ma da un commissario espresso da diversi equilibri politici. Provateci, invece di abbandonarvi a una disperazione che sinceramente non riesco a conciliare con l’indignazione dei media tedeschi. Non dico che sarebbe risolutivo, non ci sono soluzioni semplici, ma sarebbe, cioè sarà, diverso. Non è la prima volta che gli Stati europei si impegnano per affermare se stessi come entità superiorem non recognoscentes, e nessuno ha mai detto che ottenere questo risultato sarebbe stato una passeggiata. Le resistenze imperiali ci sono, sono ovunque, sono profonde, culturali, antropologiche, etnologiche, e ad esse va opposta uguale resistenza e perseveranza. La Storia è con noi: cerchiamo di non essere i primi a ostacolarla.

E con questo per oggi è tutto. Devo preparare il mio intervento in discussione generale, che poi vi offrirò come base per portare un minimo di razionalità nel nostro dibattito, cioè nel dibattito.

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